di Antonio Capitano – Il lessico è uno strumento fondamentale per la crescita del fermento nel vasto universo degli operatori della cultura, diventato profondo e palese, capace di vedere tutti gli attori nuovi scenari tesi al concreto sviluppo culturale. Ciascuno avverte la necessità di fornire il proprio contributo per alimentare questa sorta di think tank attraverso il quale esprimere un pensiero costruttivo al riparo da facili retoriche.
In questo senso, appare necessario proporre una piccola rivoluzione nel lessico utilizzato dagli operatori culturali. Si tratta di eliminare definitivamente lo slogan abusato “con la cultura si mangia”, che ha riempito pagine semplificando un concetto in realtà molto complesso ma che, al tempo, ha causato un appiatimento della terminologia sul tema, spesso limitando la nascita di altre invenzioni lessicali per individuare il nodo centrale dell’investimento in cultura.
Il compito di chi opera in questo ambito è quello di essere anzitutto innovatori, seguendo l’evoluzione del contesto per uscire da schemi preconfezionati ormai predominanti in scritti, convegni e naturalmente nel bizzarro mondo dei social spesso così veloce da non essere nemmeno notato, oltre il semplice e dovuto “mi piace”.
Occorre dunque puntare anche su una nuova terminologia, abbandonando facili riferimenti al petrolio per indicare la ricchezza naturale della cultura per arrivare a quel volano per l’economia da molti usato per racchiudere con una espressione le potenzialità di un comparto sempre in divenire e che deve fare i conti con politiche pubbliche spesso mortificanti per un settore così vitale per lo sviluppo del Paese.
Sviluppo a base culturale, dunque. E allora l’economia della cultura deve affermarsi quale disciplina che rompa finalmente l’attuale scenario di ancella dell’economia in senso stretto. Occorre lavorare di più e lavorare tutti per dare un senso alle parole; ne consegue la necessità di un laboratorio, di un cantiere culturale sempre aperto. L’obiettivo è quello di monitorare le novità e sintetizzare le tante proposte frammentarie. Occorre, in altri termini, mettere ordine, ricostruendo dalle diverse proposte e visioni un’azione comune al fine di prendere il meglio da ciascuno. E’ questo probabilmente lo scopo principale di gruppi informali di lavoro e di confronto che nascono in questo panorma: si tratta di serbatoi di pensiero, che si propongono il difficile tentativo di unire le forze. In questo quadro, una nuova terminologia è necessaria; serve a valutare l’innovazione per quella che è, fornendo nuovi strumenti anche a coloro che si occupano di giornalismo culturale.
E’ finito il tempo della retorica e di scritti che si assomigliano. Anche Norberto Bobbio nella parte di una sua riflessione meno nota si soffermava sull’impegno incessante quale elemento forte del “militante” culturale “ al di là del dovere di entrare nella lotta, c’è, per l’uomo di cultura, il diritto di non accettare i termini della lotta così come sono posti, di discuterli, di sottoporli alla critica della ragione”.
Bisogna, infine, prestare la massima attenzione alla distinzione tra studioso ed esperto che nel campo culturale individuano due categorie spesso accomunate ma che invece nascondono enormi differenze. Nel campo dell’economia della creatività la continua ricerca è fondamentale. E allora deve essere altrettanto fondamentale la ricerca di un nuovo linguaggio, un linguaggio che tenga conto dell’espressione dell’esperto e di quella dello studioso per consentire all’appassionato di avvicinarsi con interesse alle nuove frontiere culturali. Strategia, sostenibilità e innovazione sono i nuovi contenitori per un diverso discorso sul metodo. Che sia impresa o che siano eventi. Tutto passa anche dalla buona comunicazione. A cominciare da coloro che creano cultura; la creatività è il profumo delle buone pratiche per lo sviluppo del comparto e dei territori.