Da oggi ritorna alla comunità uno dei più importanti parchi archeologici dell’Italia meridionale e tra i più vasti in Europa: il Museo e Parco archeologico della Sibaritide. Con un’estensione di circa 500 ettari, il Parco riapre al pubblico dopo l’alluvione del 18 gennaio 2013 che ha riversato sull’area oltre 250.000 mc di acqua, fango e detriti.
In poco meno di due anni il Segretariato regionale del MiBACT per la Calabria ha mantenuto l’impegno di chiudere i lavori con un finanziamento di 18.000.000 milioni. Sette gli interventi immediati e successivi all’alluvione che hanno consentito il recupero e la valorizzazione dell’area. Tutti mirati anche alla possibilità di permettere una migliore manutenzione degli scavi, un controllo rigoroso dell’area archeologica e una necessaria salvaguardia da eventi alluvionali, non soltanto in casi eccezionali come lo straripamento del fiume Crati.
Interventi immediati come lo sfangamento e la ripulitura hanno permesso di restituire le aree danneggiate dall’alluvione. Importanti gli interventi funzionali come la realizzazione di trincee drenanti che consentono il controllo del deflusso delle acque piovane.
Numerose le opere di valorizzazione. Oggetto di un radicale intervento di riqualificazione è stato il principale punto di accoglienza dell’area archeologica, in particolare per il sito “Parco del Cavallo”. La costruzione del museo “Ippodameo” a completamento del già esistente Museo Nazionale della Sibaritide, offre oggi al suo interno un percorso multimediale organico che utilizza la forma narrativa e valorizza i reperti archeologici. Parte integrante e organica del Museo è il nuovo Deposito reperti con il quale si è concretizzata la possibilità di rendere il Polo museale di Sibari un moderno centro di studi dedicato alla conservazione e alla catalogazione, oltre che ad accogliere le attività relative ai laboratori didattici. Interventi di riqualificazione anche per L’Oasi di Casa Bianca che ora comprende anche un locale bar-ristoro e una sala riunioni/convegni. A completamento di tutto è stata avviata la realizzazione di sistemi di illuminazione scenografica per la visita notturna, e la rivisitazione dei punti informativi con la predisposizione di installazioni virtuali.
Nel 1881, quando il Grand Tour attraverso i territori della Magna Græcia era ancora considerato il viaggio “della vita” per gli intellettuali di tutta Europa, l’archeologo francese Francois Lenormant restituì ai posteri le emozioni suscitate dalla sua visita alla Piana di Sibari, con queste poche parole: «Non credo che esista in nessuna parte del mondo qualcosa di più bello della pianura ove fu Sibari. Vi è riunita ogni bellezza in una volta: la ridente verzura dei dintorni di Napoli, la vastità dei più maestosi paesaggi alpestri, il sole ed il mare della Grecia». Da quel momento, sia pure con prolungate discontinuità, ha preso avvio un percorso di studio, ricerca, riscoperta e valorizzazione dell’intera area archeologica della sibaritide, che ha subito un drammatico colpo nel 2013, quando l’esondazione del Crati ha ricoperto di acqua, fango e detriti l’intero sito. Come se quel fiume, all’origine della scelta dei coloni Achei di stanziarsi in quei luoghi, e che poi nel corso dei secoli più volte ha condizionato nel bene e nel male l’esistenza dei loro discendenti, avesse voluto trovare complicità nell’incuria dell’uomo per beffarsi, ancora una volta, di chi ha visto nella Piana di Sibari una buona (e doverosa) occasione per recuperare soprattutto la cultura calabrese, forte dei propri valori identitari.
Fonte: MiBACT