Fino al 31 gennaio agli Uffizi di Firenze
Allestita nella sala delle Reali Poste degli Uffizi la mostra “La città di Ercole. Mitologia e politica”, quindicesimo appuntamento della serie “I mai visti”. Curata da Wolfger Bulst, con Francesca de Luca, Fabrizio Paolucci e Daniela Parenti, la mostra propone all’attenzione del visitatore ben 51 pezzi e resterà visibile fino al 31 gennaio 2016 e visitabile tutti i giorni (escluso il lunedì, Natale e Capodanno) dalle 10 alle 17, con ingresso libero. “La figura di Ercole, che nel Rinascimento era il simbolo della Repubblica di Firenze e dei suoi ideali politici, è un ottimo emblema anche della riforma odierna dei musei fiorentini e nazionali – afferma Eike Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi -. Grazie alla dedizione e all’entusiasmo di dozzine di persone siamo riusciti a mettere in piedi questa mostra in meno di sei settimane tra la prima idea e l’inaugurazione di oggi. E in questo stesso spirito di collaborazione affrontiamo ora insieme le ‘Fatiche’ della lotta contro l’Idra della burocrazia, contro l’approfittatore Caco, e con la stessa energia ‘puliamo le stalle’ dalla disfunzionalità e dalla disorganizzazione”.
Soggetto raffigurato molto spesso nella statuaria antica (rappresentata in mostra da nove pezzi provenienti dai depositi della Galleria e da Villa Corsini), sia nella scultura a tutto tondo di grande e piccolo formato, sia nei rilievi, sia nella preziosa minuziosità della glittica, Ercole è l’incontrastato protagonista della mostra, qui celebrato per la sua forza straordinaria e per le sue gesta incredibili. La parte centrale della mostra affronta i temi delle fatiche, illustrati da incisioni, dipinti e altri oggetti d’arte, per poi illustrare temi iconografici specifici: il tema di Ercole al bivio fra il Vizio e la Virtù, che ebbe enorme diffusione come tema a sé stante dal Quattrocento al Settecento; l’eroe come oggetto di studio e documentazione da parte dell’antiquaria; la curiosa iconografia dell’Ercole gallico, che trascina le genti con la sua oratoria, rappresentata da catene d’ambra e d’oro originate nella sua bocca; il difensore delle muse, che protegge le arti dall’Avarizia dei mecenati, la loro più insidiosa nemica. Infine, a documentare l’aspetto più umano e più fragile di questo grande protagonista dell’immaginario eroico dell’umanità, il momento della satira, quando la regina di Lidia, Onfale, lo obbliga a svolgere lavori domestici come filare la lana, appropriandosi della sua leontè (la pelle del leone, conquista della sua prima fatica) e della clava. Infatti non esiste un mito che esponga sistematicamente la storia di Ercole; le sue vicende sono note dai riflessi raccolti dalle opere degli scrittori antichi. Ne emerge il profilo di un personaggio complesso, dotato di caratteristiche straordinarie di forza e virtù eroiche che scaturiscono dalla sua origine divina, insieme ad aspetti umani, come la sua sensibilità verso l’amore, che si dimostra la sua più grande fragilità. Ma con la sua azione bonificatrice della terra da mostri assassini e malfattori, l’umanità riconosce ad Ercole la sua opera benefica, fino ad immedesimarlo con la personificazione stessa della virtù. Risulta quindi chiaro il motivo per cui nel Medioevo l’eroe entri a far parte del pantheon dei patroni di una Repubblica civica come Firenze, che lo include fra i simboli del governo, evocati in mostra da alcuni rari codici. In segno di continuità con il passato della città, e nel solco di una tradizione ritrattistica antica che già aveva proposto l’imperatore nelle vesti dell’eroe, nella prima parte del suo regno Cosimo de’ Medici, attento calcolatore dei più opportuni simboli propagandistici del potere ducale, assunse l’eroe come modello per rappresentare la virtù del principe. Ercole entrò così nella decorazione encomiastica del Palazzo della Signoria, nella principale piazza civica, nel giardino privato di Castello e addirittura nel sigillo del duca, anch’esso qui esposto. Dopo Francesco I, che lo celebrò nel privato della decorazione del suo Studiolo, dei soffitti del primo corridoio della Galleria degli Uffizi e nella sala della Tribuna, in una empatia calibrata su interessi e sentimenti più personali, in età barocca la vicenda umana di Ercole perse il suo significato simbolico per servire soprattutto da spunto per manufatti artistici spettacolari e immaginifiche scenografie teatrali destinate al diletto della corte e dell’aristocrazia fiorentina.