Ad una settimana dalla Conferenza Nazionale delle Imprese Culturali che si è tenuta a L’Aquila, prosegue il dibattito a distanza sui temi lanciati nel corso della manifestazione, organizzata e promossa da Federculture in collaborazione con Associazioni, Enti, Imprese del settore. Tante le sollecitazioni sollevate nel capoluogo abruzzese, tante le parole che servono a definire e comprendere questo campo di gioco e le sue regole.
Impresa – Attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. L’enciclopedia Treccani, nel definire un’impresa, spiega anche che – dal punto di vista economico- le imprese si distinguono in imperfette e perfette, a seconda che assumano soltanto il rischio tecnico o anche quello economico, a seconda cioè che lavorino soltanto su ordinazione, o direttamente per il mercato.
Cultura di Impresa – È l’insieme di conoscenze, valori, simboli, concezioni, modelli di comportamento, nonché di attività materiali che caratterizzano il modo di vita di un’impresa. Attraverso le proprie attività istituzionali, l’impresa genera costantemente nuove esperienze che si sedimentano: si configura così una cultura specifica, espressione dell’insieme dei valori definiti dall’esperienza, capace di rappresentare l’impresa stessa all’interno del suo ambiente e anche nei confronti del mondo esterno. Questo tipo di cultura aziendale, più tipico e tradizionale, viene generalmente designato come corporate culture.
Un’altra forma di cultura d’impresa è legata a un’attività di promozione imprenditoriale, che assume un valore strategico per la gestione dell’i. nel cui ambito tendono a prevalere nuove professionalità legate a un lavoro sempre più intellettuale. L’impresa, quindi, tende a trasformarsi in una rete di strutture, ma soprattutto in una rete di individui in cui si devono sviluppare ed esprimere capacità di autonomia intellettuale affinché siano in grado di operare positivamente per il conseguimento dei risultati. Si crea infine una rete di impresa d’indotto verso cui viene trasferita la cultura aziendale aziendale, con l’intento di uniformare le azioni per il conseguimento di risultati adeguati agli obiettivi assegnati e agli standard di qualità perseguiti. L’impresa tende così ad allontanarsi dalle forme pure di produzione totalmente internalizzate per privilegiare sempre più l’apporto di attività esternalizzate e diventa macroimpresa, ossia rete di imprese che collaborano in vista di obiettivi comuni e, nello stesso tempo, anche rete di individui imprenditori di sé stessi. In questo modello, basato essenzialmente sull’autonomia dei diversi operatori, si rileva però la presenza di pericolose forze centrifughe, che tendono a dissolvere la concezione unitaria globale: la cultura d’impresa diventa allora l’elemento in grado di sviluppare lo spirito di corpo aziendale e di determinare un’omogeneità di comportamenti.
Impresa Culturale – Quando le caratteristiche citate sopra investono un’impresa che si occupa di Cultura, definiamo in via empirica un’impresa culturale. Caratteristica fondamentale di un’impresa culturale è la gestione della complessità e il suo territorio d’azione è duplice. Da un lato l’aspetto economico, dall’altro quello sociale.
Territori – Sono i veri protagonisti di ogni forma di cambiamento, perché accolgono fermenti e comunità, su di essi insistono le azioni primarie delle imprese culturali. Così come indica la Convenzione di Faro, le comunità locali devono essere partecipanti e responsabili del proprio patrimonio, anche in relazione alle attività delle imprese culturali.
Visione – Nella presentazione della giornata di lavori, il presidente di Federculture a L’Aquila ha più volte ribadito che “c’è bisogno di una visione” e che si deve dare vita a “una pianificazione strategica e una progettazione integrata e partecipata”. Se la “visione” auspicata è la proiezione di uno scenario che un imprenditore vuole “vedere” nel futuro e che rispecchia i suoi valori, i suoi ideali e le sue aspirazioni generali, dal confronto fra gli attori della Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale è emerso che la visione, rispetto all’impresa culturale, essenzialmente manca al Governo e al mondo politico.
Valore – Nel corso del prolusioni e del dibattito “Valore” è stato un termine molto utilizzato – in ognuna delle sue più comuni accezioni. Le affrontiamo servendoci dell’immancabile Treccani.
Nell’economia politica classica, con riferimento a un bene, si distingue tra il valore d’uso, cioè la capacità del bene di soddisfare un bisogno, e il valore di scambio, la proprietà del bene di acquistare altri beni, cioè il suo «prezzo relativo» – che riporta però all’idea di business.
Ma valore è anche il pregio che un’opera, d’arte o dell’ingegno, ha indipendentemente dal prezzo che può valere in base a considerazioni varie, sia materiali e concrete (materia di cui l’opera è fatta), sia storiche, tecniche, estetiche, ecc. (antichità, importanza storica o documentaria, rarità, perfezione di fattura e di esecuzione, ecc.), ora oggettive (capacità di soddisfare determinate esigenze), ora soggettive (stima attribuita all’opera da singoli o da gruppi di persone, desiderio di possederla); esso è anche l’importanza che una cosa, materiale o astratta, ha, sia oggettivamente in sé stessa, sia soggettivamente nel giudizio dei singoli e – in alcuni casi- diventa sinonimo di validità o efficacia. Quale e quanto valore, dunque, assegnamo all’Impresa Culturale?
Sostenibilità – Nelle scienze ambientali ed economiche, è la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Applicata alle imprese culturali è la capacità di valutare gli impatti qualitativi, quantitativi diretti ed indiretti sulla gestione del patrimonio, adattando le scelte di gestione per il mantenimento dello status quo e – in alcune imprese – lo sviluppo di politiche di implementazione del servizio.
Gestione – La gestione d’impresa (culturale) è un sistema di scelte relative alle risorse da impiegare e alle azioni da intraprendere -a livello produttivo, commerciale, amministrativo, finanziario e organizzativo- affinché l’impresa possa raggiungere i propri obiettivi. La strategia di gestione è per sua natura dinamica, in quanto deve essere continuamente aggiornata e modificata per rispondere alle nuove opportunità e necessità del mercato. Nell’impresa culturale, quali sono i punti fermi da centrare perché essa possa prosperare – dove questo termine significa soddisfare il patto con il pubblico? La risposta l’ha data a L’Aquila Samanta Isaia, manager della Fondazione Museo delle Antichità Egizie. “Occorrono logiche specifiche nel modello di gestione di un’impresa culturale: orientamento al business, autonomia di ricerca, di pensiero, di modalità espositiva (per quel che riguarda i musei ndr) e di comunicazione, facendo attenzione a che i privati entrino nella vita di una impresa o una istituzione culturale ma mantenendo sempre vivo il principio di autonomia per perseguire i propri obiettivi.”
Formazione e occupazione – In Italia esistono diversi Master in Gestione dei Beni Culturali, frequentatissimi ed ambiti, i cui specializzati però non hanno collocazione né campo per fare esperienze innovative. L’età media degli impiegati nel settore pubblico della cultura è di circa 55 anni, quella degli imprenditori della cultura è di circa 32. Serve un’implementazione consistente degli operatori del settore culturale in Italia: con la vastità, l’importanza e la diffusione del Patrimonio Culturale di casa nostra “non è pensabile che si possa gestire questa risorsa con poche centinaia di assunzioni di addetti specializzati ogni 20 anni”. Inoltre, il primo ritorno in termini economici di qualsiasi manovra e riforma del sistema deve essere quello occupazionale, altrimenti stiamo perdendo del tempo e delle opportunità”. A dirlo Antimo Cesaro, sottosegretario del MiBACT.
Accauntability – Dare i numeri, letteralmente. E’ indispensabile trovare delle metriche comuni riconosciute per misurare le attività delle imprese culturali e i loro indici di sviluppo e incidenza. Solo con delle metriche condivise possiamo lavorare sulla gestione dell’impresa culturale e dialogare per un effettivo riconoscimento, anche in materia giuridica e fiscale, del settore(cit. Claudio Bocci, Federculture)
Valorizzazione – Creare una rendita del patrimonio culturale a lungo termine, che sia tanto economica quanto di sistema. “Quello che manca, in questa ottica, è la via per trasformare le idee in prassi”, come ha spiegato Renzo Iorio di Confindustria.