Sono stati svelati i retroscena e la storia del cranio umano rinvenuto nel bolognese presso la Grotta Marcel Loubens, sul lato meridionale della Dolina dell’Inferno, a meno di 600 metri in linea d’area dalla Grotta del Farneto, nel territorio di San Lazzaro di Savena, a oriente di Bologna.
Nel 2015, mentre esploravano un ramo di recente scoperta, gli speleologi del Gruppo Speleologico Bolognese e dell’Unione Speleologica Bolognese individuarono lungo la risalita di un alto camino un cranio umano. Il reperto si trovava a strapiombo all’altezza di 11 metri dal fondo, in posizione poco stabile e incluso in un ammasso fangoso, fattori che rendevano necessario il suo recupero poi eseguito, in accordo con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, il 7 giugno 2017. L’operazione si è conclusa alle ore 21 quando il reperto ha rivisto la luce della luna e delle stelle dopo quasi 6mila anni.
Per effettuare la delicata operazione il cranio è stato prima messo in sicurezza tramite un’incamiciatura di consolidamento con bende gessate e successivamente imballato per affrontare senza danni il percorso d’uscita dallo stretto e tortuoso meandro, significativamente chiamato Meandro della Cattiveria proprio per le difficoltà di progressione.
Subito trasportato al laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, il cranio è oggetto di numerose analisi antropologiche. Fin da subito, però, grazie alla datazione al radiocarbonio effettuate sul secondo molare sinistro dal CEDAD, è stato possibile collocare il reperto tra il 3.600 e il 3.300 a.C. cioè in un arco cronologico già noto per il popolamento del Farneto.
L’importante reperto è stato presentato alla stampa il 14 giugno 2018 nella sala di Consiglio del Comune di San Lazzaro di Savena nel corso di un incontro introdotto dal sindaco di San Lazzaro Isabella Conti, dalla Soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna Cristina Ambrosini e da Sandro Ceccoli, presidente dell’Ente di gestione per Parchi e la Biodiversità – Emilia Orientale.
“Vedere le immagini del recupero di questo importantissimo reperto –ha detto il sindaco Isabella Conti in apertura della conferenza- è la più grande testimonianza della passione e della tradizione che da Fantini a Orsoni ha segnato la nostra terra. Come istituzioni dobbiamo fare il possibile per diffondere questo amore per il territorio, la conoscenza e la scoperta, soprattutto tra i più giovani. Siamo onorati di aver potuto prendere parte a questo momento importantissimo, per il quale ringraziamo il Gruppo Speleologico Bolognese, la Soprintendenza, l’Ente Parco dei Gessi e tutte le realtà e le persone che hanno reso possibile questa scoperta”.
La nuova Soprintendente Cristina Ambrosini, alla sua prima uscita ufficiale, ha sottolineato “l’importanza di questa scoperta, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche per l’intera comunità. Questo evento straordinario è la testimonianza di ciò che come enti siamo chiamati a fare, ovvero la salvaguardia del patrimonio culturale, anche grazie alla conoscenza, la passione e la competenza di tante persone e realtà che hanno al loro centro l’amore per il paesaggio, sia ambientale che culturale e storico”.
Un paesaggio, il Parco dei Gessi Bolognesi, che “sta lavorando per arrivare alla candidatura come patrimonio dell’Unesco”, come ha spiegato il presidente dell’Ente Parchi Sandro Ceccoli: “Questo ritrovamento testimonia l’enorme ricchezza del nostro parco, anche nel sottosuolo. Si tratta di un luogo unico che ogni giorno cerchiamo di comunicare e far scoprire a tutto il mondo, a partire dalla stessa comunità locale e dai più giovani, in particolare le scuole, che visitano assiduamente il parco e le sue grotte”.
A illustrare le suggestive fasi della scoperta, del recupero e del valore scientifico-culturale del reperto, sono state Monica Miari (archeologa) della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna e Maria Giovanna Belcastro (antropologa) del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, coadiuvate da Nevio Preti, segretario generale G.S.B.-U.S.B.
“Da diversi anni facciamo esplorazioni nell’area dei Gessi Bolognesi – ha spiegato Nevio Preti -. La scoperta è stata emozionante, nonostante le molte difficoltà del recupero. Abbiamo infatti a che fare con una grotta molto stretta, nella dolina dell’Inferno, con un camino complesso, tanto che il recupero del cranio ha richiesto ben 11 ore di lavoro. Ma vedere emergere dalla grotta questo reperto straordinario dopo 5mila anni, alle nove di sera, tra il buio e le lucciole, è stata un’emozione indescrivibile”.
Fonte: Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara (SABAP-BO) – settore ARCHEOLOGIA