Inserita nella ambita lista del Patrimonio intangibile dell’umanità dell’UNESCO nel 2013 fra le “Macchine a Spalla”, la festa dei Gigli di Nola è nel pieno del suo svolgimento proprio in questo fine settimana nella città di Nola, in provincia di Napoli. Con migliaia di partecipanti e un calendario ricco di eventi, la festa dei Gigli diventa un’occasione per conoscere Nola che le sue tradizioni.
Commistione di storia e folklore, la Festa affonda le sue radici in un capitolo della vita di San Paolino e persino di Papa Gregorio Magno.
Ponzio Meropio Anicio Paolino nacque a Bordeaux nel 354 d.C. da una nobile e ricchissima famiglia senatoriale romana. Paolino fu allevato ed istruito dal poeta Decio Magno Ausonio il quale lo educò alla severità degli studi ed in special modo alla poesia per la quale il giovane Paolino ebbe grande predilezione, superando perfino il maestro. Nel 377 d.C., con la morte del padre, Paolino ereditò la dignità di Senatore e una considerevole parte di beni, tanto che l’anno dopo, a soli ventiquattro anni diventò Console della Campania scegliendo come sede consolare Nola. Nel 380 fu nominato Prefetto di Roma.
Nel 389 d.C. sposò Terasia che l’anno dopo partorì un bambino, chiamato Celso, ma questi morì dopo appena otto giorni. Così, nel 393 d.C. Paolino abbandonò la vita mondana abbracciando la vita monastica. Nel 395 ritornò a Nola unitamente alla sua consorte e si ritirò presso la tomba di Felice prete, detto “in pincis”. Qui compose i “carmi natalizi” in onore del miracoloso Santo. Nel 409 d.C. Alarico entrò in Roma e la saccheggiò; la stessa sorte toccò a molte città della Campania tra cui Nola, che fu completamente devastata e molti dei suoi cittadini furono fatti prigionieri. Il vescovo Paolino vendette tutto, anche la croce episcopale per riscattare la vita dei suoi concittadini. A questo punto si inserisce il racconto di Papa Gregorio Magno da cui, secondo tradizione, trarrebbe origine la “Festa dei Gigli”: il racconto si è a lungo tramandato fra gli stessi Nolani e fu trascritto da Papa Gregorio Magno un secolo dopo l’accadimento dei fatti.
Secondo questo racconto, dopo la presa di Roma da parte dei Vandali, anche la città di Nola fu saccheggiata e molti dei suoi abitanti fatti prigionieri e deportati in Africa. Il vescovo di Nola Paolino riscattò con i suoi averi numerosi prigionieri, ed una volta esaurite le sue ricchezze, non avendo più denaro per riscattare il figlio di una vedova offrì se stesso. Anni dopo essere divenuto il giardiniere del re dei Vandali, il vescovo Paolino predisse l’imminente fine del re, che liberò lui e la sua gente. Al ritorno in patria il popolo di Nola accolse la sua gente con dei gigli (fiori), dando il via ad una tradizione che si ripete ogni anno, anche dopo la morte del Santo Vescovo avvenuta nel 22 giugno dell’anno 431 d.C.
Tuttavia, studiosi moderni sono portati a considerare la “festa” come l’assorbimento da parte del Cristianesimo di un rito pagano, secondo il quale grandi alberi sacrali, probabilmente simboli di fertilità, venivano portati in processione per buono auspicio nel periodo del solstizio d’estate.
Le prime fonti storiche precise sulla festa risalgono al 1500, grazie allo storico nolano Ambrogio Leone. Egli ci parla del “cereo” descrivendolo come una “grandissima torcia a guisa di colonna accesa e adorna di spighe di grano”, realizzato col denaro dei contadini e degli artigiani e portato in spalla durante la processione del Santo. Questa processione si svolgeva per le strade della città e ogni arte o professione vi prendeva parte realizzando il proprio cereo; subito dietro venivano i monaci ed i sacerdoti chierici, per ultimo il vescovo con le reliquie della Croce e del Santo chiuse in una mano d’argento.
Il vescovo era accompagnato dal Conte e dal “maestro di mercato”, poi i nobili ed i primi cittadini (da pochi anni è stato inserito nel programma della festa “Il corteo storico” che rievoca questa processione).
Verso la metà del ’700 il Remondini ci parla di nuove macchine chiamate “mai” o “gigli” adornate di fiori che avevano la forma di globi o piramidi o navi. E’ probabile che la competizione tra le diverse corporazioni che partecipavano alla processione avesse portato a questa evoluzione, forse suggerita dall’architetto e scenografo Ferdinando.
A differenza del “majo-albero”, utilizzato nelle feste come espressione di riti propiziatori per la fertilità e la prosperità, il Giglio è il simbolo della fede e dell’amore per il Santo Patrono. Utilizzato in un primo momento come semplice ornamento dei ceri portati in processione, il giglio è diventato, nel tempo, una vera e propria struttura lignea eseguita da artigiani, maestri d’ascia, carpentieri e falegnami sulla scorta di continue esperienze annuali determinate dalla buona o cattiva riuscita della struttura precedentemente realizzata.
I Gigli sono oggi costruiti sul sistema della “borda”, un’asse centrale sulla quale sono collegati tutti gli elementi strutturali in una condizione di maggiore stabilità ed elasticità. Tale sistema, introdotto per la prima volta nel 1887 per volontà del mastro carpentiere Filippo Cantalupo, costituisce l’elemento innovativo che cambiò radicalmente l’assetto strutturale del Giglio, rendendolo una struttura più flessibile ed idonea a supportare gli sforzi e le tensioni interne determinate da forze dinamiche agenti sulla struttura, specialmente nello stato di moto.
I Gigli, infatti, vengono sollevati attraverso una serie di varre e varretielli, barre e barrette realizzate in legno di castagno e manovrati a spalla dai “cullature“, ( i cullatori ), nome che deriva probabilmente dal movimento oscillante prodotto, simile all’atto del cullare. L’ insieme dei cullatori, di norma intorno ai 120, prende il nome di paranza.
Gli obelischi della Festa dei Gigli sono otto e rappresentano una specifica corporazione. Le corporazioni sfilano nel seguente ordine: Ortolano, Salumiere, Bettoliere, Panettiere, Barca (che rappresenta il ritorno del Santo dalla schiavitù), Beccaio, Calzolaio, Fabbro e Sarto. Essi sono portati a spalla da circa oltre un centinaio di uomini (paranza), che, al suon di musica di una fanfara, li fanno “danzare”. Ogni paranza ha il suo capo (capo paranza), il quale si pone al centro, cioè davanti al giglio, ed impartisce gli ordini secondo i casi.
Il capo paranza è coadiuvato da alcuni suoi uomini fidati (caporali) che si trovano ai lati e dietro il Giglio. Sulla base, dove è posta la fanfara, al centro siede il “maestro di festa”, quella persona che, nell’arco di un anno si è interessata a portare avanti, a volte con molti sacrifici, l’intera manifestazione. Al maestro di festa spettano, come al capo paranza, ruoli di controllo e supervisione del proprio giglio.
La Festa dei Gigli è un momento folcloristico, culturale e religioso che ripercorre centinaia di anni di tradizione: l’attaccamento del popolo nolano alle corporazioni è molto forte ed emozionante; le corporazioni, tuttavia, non sono in competizione tra loro, ma sfilano per omaggiare la città e l’effige di San Paolino in un clima festoso e di raccoglimento.
A partire dall’ultimo ventennio del 1800 il rivestimento dei Gigli avviene attraverso l’antica arte della cartapesta, sviluppatasi a Nola grazie ad artisti cartapesta, i leccesi e decoratori dello stucco napoletani presenti sul territorio in occasione dell’allestimento decorativo e statuario del Duomo. La scelta di rivestire i Gigli con la cartapesta non è casuale ma è dovuta alla sua capacità di adattarsi alle esigenze di elasticità e flessibilità richieste dalla struttura lignea del Giglio.
Il rivestimento del Giglio avviene secondo una tecnica ben precisa: si cola nello stampo di argilla un miscuglio di cartaccia tritata, colla e gesso, impastato uniformemente e cotto in acqua calda. Una volta asciutto si estrae la forma dallo stampo, la si fissa su uno scheletro di legno e la si lascia asciugare naturalmente in ambienti di temperatura non superiore ai 30 gradi centigradi. Durante questo periodo si procede alla saldatura e alla rettifica delle deformazioni determinatesi durante l’essiccamento.
I pezzi, così ultimati, vengono sistemati alle pareti in attesa di essere dipinti nelle ultime settimane precedenti la vestizione. La colorazione delle figure e dei motivi ornamentali avviene per gradi con colori ad acqua o a tempera e, prima dell’ultima mano, viene verificato l’effetto tonale con l’esposizione alla luce solare e serale, prima e dopo l’essiccamento, correggendo eventualmente la variazione tonale non desiderata.
Una volta terminati, i vari elementi del rivestimento vengono apposti sul Giglio soltanto nel giorno stabilito per la vestizione. Si parte dall’alto, fissando sulla cima del sesto pezzo l’elemento terminale che la maggior parte delle volte è costituito da una statua. L’elemento viene issato tramite una lunga e grossa fune, scorrevole sulla carrucola, sistemata all’estremità superiore della borda. Giunto in alto, è legato ad essa con muscielli ed al telaio dai due operatori montatori, sistemati anch’essi all’estremità superiore della struttura.
Terminata la legatura, dopo l’attento controllo della perpendicolarità e della centralità rispetto alla borda ed alla base da parte del direttore dei lavori, si procede con il montaggio del quinto, quarto, terzo, secondo, primo pezzo e della base, sempre con lo stesso procedimento.
I temi generalmente utilizzati per la decorazione dei Gigli sono religiosi, storici o d’attualità e rinnovano una tradizione chiaramente individuabile sin dagli ultimi decenni dell’800 ed ancora oggi molto sentita.
Fonte: fondazionefestadeigigli.it, giugnonolano.com, WHC.org