Ha fatto scalpore la notizia della decisione del presidente francese Emmanuel Macron, nel corso di un incontro con i del presidente francese Emmanuel Macron, di appoggiare la candidatura della baguette come bene del patrimonio intangibile dell’Umanità UNESCO.
Secondo i media francesi, l’iniziativa era stata lanciata dal presidente della Confederazione nazionale della panetteria-pasticceria francese, Dominique Anract, che sostiene che la baguette è come la Tour Eiffel, “uno dei principali simboli della Francia”.
Nel contempo fioriscono le iniziative relative a nuove iniziative per richiedere o avviare dei processi di candidatura in tutta Italia. Ultime per data quella del Parco Regionale Storico agricolo dell’Olivo di Venafro , appena iscritto nel Registro nazionale dei Paesaggi rurali e storici d’Italia, il cui direttore ha già dichiarato di voler chiedere alla Regione di proporre la candidatura del Parco all’UNESCO, affermando che si tratto di “Un unicum, abbiamo olivi secolari e monumentali tra le rovine sannite e romane. Inoltre, dell’oliva aurina (per il colore dorato dell’olio) esistono testimonianze in letteratura a partire dal III Secolo a.C.”.
Nel frattempo è stata approvata qualche giorno fa all’unanimità la mozione che impegna la Regione Liguria “a fare propria la richiesta delle comunità del ciclo Tabarchino facendosi promotore, assieme al Comune di Genova, di inoltrare una specifica istanza all’UNESCO al fine di poter ottenere il riconoscimento quale “patrimonio immateriale dell’Umanità” per l’epopea del Popolo Tabarchino”.
Andando indietro di poche settimane, dalla Liguria era arrivata un’ altra “chiamata all’azione”, questa volta per il pesto alla genovese, che secondo Roberto Panizza – presidente dell’Associazione culturale Palatifini che organizza il Campionato mondiale di pesto al mortaio – merita di essere un bene culturale immateriale dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO e per questo aveva lanciato un appello a tutti i genovesi e liguri, dalle istituzioni ai singoli.
Ma perché questa “corsa” al riconoscimento UNESCO? lo abbiamo chiesto a Carlo Francini, coordinatore scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO e Site Manager del Sito UNESCO di Firenze.
“In effetti sì, c’è un aumento di interesse notevole sul patrimonio immateriale e sulle pratiche culturali sia in Italia che in Europa. Siamo passati da una fase in cui il nostro Paese non è stato molto presente ad un momento di grande attenzione e interesse, soprattutto su quello che è produzione artigianale, preparazione, alimenti e cibo – non intesi come la pizza ma come arte, tradizione del fare la pizza, con tutte le implicazioni che la pratica di produrre la pizza alla napoletana porta con se. – ha spiegato Francini – Si è quindi aperto un varco importante, che abbraccia una varietà di possibilità molto ampia. Per esempio il caffè ha 2 patrimoni immateriali: il caffè arabo legato alla tradizione dell’ospitalità e il caffè turco legato invece alla pratica, alla preparazione. Un cibo, dunque, non è argomento di candidatura di per sé, ma il saperlo fare, saper produrre le materie prima come si faceva in origine, collegarlo ad usi e tradizioni che sono un elemento distintivo nella storia di un popolo e di una cultura, diventano veicolo di preservazione di un racconto di civiltà. Da questo punto di vista il cibo incarna quindi le caratteristiche e le eccezionalità del patrimonio culturale immateriale in maniera specifica e incisiva. Da questo punto di vista, l’Italia potrebbe quindi ambire a tante altre candidature dopo l’inserimento dell’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani, ma il tema cibo resta un argomento complicato e spinoso, sul quale si rischia spesso di uscire un po’ fuori dal binario chiesto dal Centro del Patrimonio Mondiale. – ha concluso il coordinatore scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale – Il grande fermento che si legge in proposito nasce dal valore innegabile del riconoscimento UNESCO, anche solo a livello di comunicazione, ma allo stesso modo è importante puntare sulla preservazione della tradizione legata ad un determinato cibo o prodotto. Utilizzarlo solo a fini promozionali è sbagliato, se non criminale a volte, mentre può diventare importante legare a tutto questo politiche attive a favore di questo Patrimonio, come potrebbero essere dei protocolli di produzione per la realizzazione di certi alimenti o l’utilizzo di ingredienti di prima qualità caratterizzati da una preciso provenienza.”