“L’incendio che ha provocato il crollo della guglia e del tetto della Cattedrale di Notre Dame di Parigi, monumento iscritto nella World Heritage List nel 1991, ci ha ricordato prepotentemente che i monumenti, i luoghi che raccontano la nostra storia e la nostra cultura non sono imperituri né immuni allo scorrere del tempo e alle azioni dell’uomo ma che, al contrario, il nostro patrimonio è deteriorabile, fragile e vulnerabile e che è nostra inalienabile responsabilità assicurarne la migliore tutela possibile, in alleanza con tutte le istituzioni deputate a farlo.” Con queste parole Carlo Francini, coordinatore del comitato tecnico scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale ha aperto il terzo appuntamento del “World Heritage LAB”, che si è tenuto a Milano presso la Sala Conferenze di Palazzo Reale la scorsa settimana e al quale hanno partecipato amministratori, site manager, tecnici, professori, studenti e ricercatori universitari.
A dare il benvenuto agli ospiti Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, che ha ricordato come la città meneghina sia un nodo strategico per le imprese culturali e creative, assieme a Michela Palazzo, Direttore del Museo del Cenacolo Vinciano, che ha sottolineato la portata del valore delle celebrazioni dell’anno Vinciano e Andrea Cancellato, Presidente di Federculture, che ha ricordato che l’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione di Faro che “non cambierà l’approccio del nostro Paese con le politiche della cultura ma le inserirà in un contesto di regole preciso e già condiviso”.
Dopo aver parlato di comunicazione a Ferrara e di gestione a Firenze, nella la tappa di Milano il LAB ha posto il suo focus sul tema del rapporto fra i siti del Patrimonio Mondiale e i territori sui quali questi ricadono in termini di valorizzazione. Come per ogni LAB dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale, tutti i materiali della giornata di lavori saranno disponibili on line sulla piattaforma web dell’Associazione.
Ad aprire i lavori Edouard Planche, Capo unità Cultura dell’ Ufficio Regionale per la Scienza e la Cultura in Europa del Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO che ha illustrato quali sono stati gli ultimi passi fatti dal Centro del Patrimonio Mondiale per implementare la Convenzione, in maniera da avvicinarla alle esigenze in continua evoluzione dei beni del Patrimonio Mondiale e delle comunità che li vivono e li amministrano. “Le più recenti Linee Guida Operative rimarcano la necessità di lavorare alla conservazione, alla tutela e alla valorizzazione dei beni già inseriti nella World Heritage List – ha spiegato Planche – mentre è stato posto a 35 il limite dei nuovi beni accolti ogni anno, con una espressa precedenza agli stati membri che non ne hanno o che ne hanno meno di tre già in lista.”
Nella prima sessione del workshop si è parlato di Valorizzazione e delle buone pratiche dai siti del Patrimonio Mondiale d’Europa nello sviluppo della Capacity Building e della Community, in riferimento alle “5C” della Dichiarazione di Budapest.
“Noi crediamo che sia fondamentale portare la ricerca al servizio delle necessità di chi gestisce il Patrimonio Mondiale, con particolare riferimento a protezione e tutela, – ha raccontato Paola Borrione, Capo del Dipartimento di ricerca della Fondazione Santagata – soprattutto per ciò che concerne la creazione di competenze per lavorare sul patrimonio culturale, legandolo ai processi di sviluppo delle comunità”. La Borrione ha quindi portato una carrellata di esempi di buone pratiche e di progetti che la Fondazione segue, che testimoniano quali approcci innovativi e lungimiranti è possibile mettere in campo per migliorare la qualità della vita delle comunità.
Marcella Morandini, direttore della Fondazione Dolomiti UNESCO, ha raccontato le ultime tappe dell’operato del suo gruppo di lavoro per consolidare e raccontare il rapporto di interconnessione strettissimo che lega i luoghi delle Dolomiti UNESCO alle tante comunità che ci vivono. “Nel 2019 ricorre il decimo anniversario dell’iscrizione delle Dolomiti nella World Heritage List – ha raccontato la Morandini come esempio di buona prassi di partecipazione – e noi abbiamo deciso di celebrare questa ricorrenza con diverse iniziative. Poi abbiamo chiesto alle comunità, ai comuni, alle attività sul territorio, di proporre anche loro delle attività: ad oggi ci sono pervenute più di 150 proposte e tutte di qualità. Questo perché l’identificazione delle comunità con il proprio bene Patrimonio Mondiale è diventata forte ed è avvertito, quasi sempre, come strumento di sviluppo per il futuro.”
Bruno Marmiroli, direttore della Mission Val del Loire, ha raccontato la sua esperienza in fatto di processi di partecipazione nella gestione di un sito Patrimonio Mondiale seriale complesso come quello che lui stesso gestisce. “Noi non ci occupiamo di promozione turistica – ha spiegato – perchè per questo ci sono altri uffici deputati. Noi ci occupiamo di fare in modo che le comunità che vivono all’interno del sito… se ne occupino. Lavoriamo con il comitato di rappresentanti dei luoghi che vengono eletti dai cittadini e proponiamo attività di diverso genere che coinvolgano tutti gli stakeholder, in modo che nessuna categoria si senta esclusa e che tutti possano partecipare attivamente. E lo fanno davvero”
La seconda sessione di lavori ha proposto un excursus dell’analisi dei processi di valorizzazione, partita dal Cenacolo Vinciano, con l’intervento di Chiara Rostagno. “Il Cenacolo è un’opera unica oltre che per la sua importanza nella storia dell’umanità, anche per la sua stessa storia. Per questo necessita di essere protetta e al tempo stesso raccontata, resa fruibile, anche se le disponibilità di accesso coprono in media ogni anno circa un quarto delle richieste. Cosa possiamo offrire quindi a chi resta necessariamente escluso e soprattutto, come si porta il Cenacolo ad essere riconosciuto nella sua unicità da una città che è sempre di corsa?” ha chiesto alla platea la Rostagno. Lei, nei tre anni che l’hanno vista direttrice del Museo del Cenacolo, ha proposto diverse iniziative, fra le quali una particolarmente significativa: ha richiesto, e ottenuto, che venisse aggiunto l’appellativo di Cenacolo Vinciano alla fermata della Metro di riferimento “così che tutti sappiano che qua, se un cittadino avesse voglia, un giorno, può andare a vedere il suo capolavoro, perché come cittadino residente ha diritto all’accesso senza prenotazione.”
Roberto Cerrato, Site Manager e Direttore dell’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, ha invece raccontato quali attività nel corso dei 5 anni dal riconoscimento UNESCO, siano state messe in campo affinchè le comunità, ma anche i produttori di uve e vino, potessero partecipare alla salvaguardia della loro “campagna” preservando il tipico paesaggio sociale. “La nostra sfida parte dalla condivisione dei punti cardine del nostro piano di gestione, che noi abbiamo deciso di rivedere ogni tre anni. Si parte dalla sinergia pubblico-privato per evitare la costruzione dei capannoni, per esempio, e si arriva all’aggiornamento fatto agli stessi produttori in fatto di comunicazione, in modo che sappiano narrare il territorio e le sue peculiarità uniche attraverso i prodotti – ha spiegato Cerrato – così come prepariamo alla stessa narrazione gli operatori economici e quelli che lavorano del turismo e nell’accoglienza. Questo, c’è da dire, non sarebbe possibile senza i fondi della Legge 77/2006 con i quali noi riusciamo a sostenere queste attività.”
Luana Alessandrini, responsabile dell’Ufficio UNESCO di Urbino, ha raccontato in che modo, nel corso degli anni, lo staff del Comune – all’interno di progetti europei e in collaborazione con luoghi di diversi paesi stranieri – abbia creato dei modelli di analisi di vulnerabilità e gestione del rischio legati all’analisi dei dati locali sul cambiamento climatico, con lo scopo di mettere in campo delle attività e delle politiche sulla sostenibilità ambientale e sociale che avessero applicazione e riverbero non solo sul sito Patrimonio Mondiale del Centro Storico della città marchigiana ma nella sua intera buffer zone, che è un territorio molto ampio a prevalente vocazione agricola. “La ricaduta delle nostre ricerche e delle attività correlate in merito al nostro Sito è ampissima – ha spiegato la Alessandrini – perché coinvolge decine di aziende agricole e decine di famiglie che sono più o meno consapevolmente impegnate a lavorare sulle proprie capacità adattative nei confronti del cambiamento climatico ma anche al miglioramento in fatto di sostenibilità delle proprie pratiche quotidiane, proprio per incidere in maniera positiva sullo stesso cambiamento.” Un processo affascinante che ha richiamato l’attenzione e una riflessione della platea sull’agenda per la sostenibilità delle Nazioni Unite.