A Ferrara, dal 20 al 22 ottobre, le imprese e le istituzioni che si stanno spendendo per recuperare e riqualificare gli immobili in disuso o in stato di abbandono – alcuni dei quali nel perimetro del sito UNESCO – si sono incontrate in “Oggi RiCrea, primo festival italiano dedicato alla rigenerazione urbana in ogni sua forma. Il panorama nazionale è disseminato di mostri in cemento e mattoni fioriti da nord a sud durante il ventennio del boom economico. L’unica parola per realizzare il futuro comune è “innovazione”, applicata alla tecnologia, alla comunicazione, ai metodi di ricerca; insomma, sono svariati i fronti da perseguire per migliorare l’urbanistica rispetto al lascito del passato prossimo, e si intersecano tra loro.
Matteo Bianchi, nelle fila degli organizzatori della manifestazione, ha posto qualche domanda a professor Gianfranco Franz, Dipartimento di Economia e Management di UniFE, Comitato Scientifico della manifestazione.
Franz, in concreto cosa significa rigenerazione urbana?
«La possibilità di riusare edifici pubblici, ovvero beni comuni e spesso monumentali, con poche risorse a disposizione, attivando azioni che inneschino lavoro. Le imprese creative sono quelle che offrono un futuro ai giovani, facendo innovazione».
A Ferrara si riesce a coniugare questa volontà con il patrimonio storico e architettonico?
«Il Teatro Verdi, per nominarne uno, era un monumento in stato di abbandono e lo abbiamo riaperto per un solo weekend. Sono arrivati così i fondi regionali per riaprirlo in modo stabile».
E’ stata una presa di posizione fruttuosa.
«Da un’iniziativa di neanche tre giorni sono arrivati quasi tre milioni dalla Regione Emilia-Romagna. La pratica del Teatro, ancora della Giunta Soffritti, si era incagliata al Mibact durante l’iter burocratico… era da sbloccare. Un altro esempio calzante è lo stesso Grisù: la riapertura garibaldina dell’ex caserma dei pompieri, che è stata riutilizzata in modo non convenzionale, concedendo uno a diverse imprese. Adesso è un punto di riferimento».
Perché “garibaldina”?
«Nel 2013 non c’erano altri luoghi simili e Marcella Zappaterra, allora Presidente della Provincia, lo affidò all’associazione omonima, sebbene da un’ottica giuridica non fosse stato codificato. Lo abbiamo codificato in corsa, facendo emergere tanti problemi normativi. Attenzione, però, non ci fu alcunché di illegittimo; semplicemente erano aspetti che non furono contemplati all’apertura e che lavorando insieme abbiamo risolto in un paio d’anni. Prima siamo partiti, poi abbiamo messo a fuoco le criticità».
Un approccio passionale può essere la risposta a un’Italia che affoga nelle sue lungaggini burocratiche.
«La Zappaterra fu accusata di aver provocato un “danno erariale”, perché non furono messi in affitto i locali. Peccato che non ci fossero privati all’orizzonte disposti a investirci il loro denaro. Eppure per la cultura giuridica italiana se affidi gratuitamente un immobile a un’associazione, produci un danno erariale, un mancato introito. Purtroppo non ci sarebbe stato alcun introito: era una discarica a cielo aperto in centro storico».
Quindi il Festival mette in risalto istituzioni coraggiose?
«L’Asilo di Napoli è uno dei beni pubblici che De Magistris ha dato in affido a delle associazioni creando uno scandalo, banalmente perché era interessato ai risultati sociali dell’operazione. Ma non fu compreso e strumentalizzarono la situazione per accendere una polemica. Per questo abbiamo deciso di chiamare i tecnici che hanno vissuto quell’avventura».
La tre giorni si trasforma in una maratona rivolta al sapere tecnologico: la Factory Grisù non ha mai visto prima tanti studenti impegnati tutti insieme.
«La formazione per noi è fondamentale, specialmente attraverso workshop continui. I nostri ragazzi consumano strumenti digitali e devono comprendere che da fruitori possono diventare creatori».