Si è conclusa sabato pomeriggio con i saluti del sottosegretario al MiBACT Antimo Cesario e la presentazione delle sintesi dei due panel di lavori tenutisi venerdì, la dodicesima edizione di RavelloLAB- Colloqui Internazionali.
Uno dei due panel si è concentrato sull’impresa culturale tra risultato economico e valore sociale, il cui coordinamento è stato affidato al Prof. Pierpaolo Forte, Presidente della Fondazione Donnaregina-Museo MADRE di Napoli.
Le idee che hanno mosso l’esigenza della creazione del tavolo sono quelle mosse dibattito aperto dalla Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale, tenutasi a L’Aquila lo scorso luglio e dalle recenti innovazioni legislative riguardanti il Terzo Settore.
Il disegno di legge, ‘Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative’ attende il via libera del Senato e ha per finalità quella di favorire “il rafforzamento e la qualificazione dell’offerta culturale nazionale, come mezzo di crescita sostenibile e inclusiva, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, con particolare riguardo a quella giovanile, mediante il sostegno alle imprese culturali e creative”. La discussione di Ravello Lab è quindi partita dalla necessità di leggere “la faglia fra economico e valore sociale” e dare una metodologia di misurazione della ‘reddività sociale’ (accountability) dell’impresa culturale, anche in termini di nuova e qualificata occupazione e di ricadute positive sul sistema delle imprese profit-oriented che traggono vantaggio da un efficientamento dell’offerta culturale sui territori.
“Il materiale che oggi vi proponiamo è variegato e composito. – ha spiegato Pierpaolo Forte, nella presentazione dei risultati del panel da lui diretto – Innanzitutto, il tavolo ha rinunciato ad impegnarsi sulla discussione sulla differenza fra Impresa Culturale e Impresa Creativa. Riteniamo infatti che ogni impegno culturale abbia insito un processo creativo e che ogni attività creativa abbia insito un input culturale. Abbiamo quindi lavorato per trovare dei temi che caratterizzano queste attività, secondo una nuova fenomenologia che, in realtà, è ancora in fieri e sulla quale, quindi, ci sarà ancora da confrontarsi.”
Uno dei punti salienti della discussione del panel sull’Impresa Culturale di RavelloLAB è che qualsiasi tipologia di Impresa Culturale si sente immersa nella dimensione pubblica. “Gli imprenditori culturali, infatti, in modi del tutto diversi, hanno tutti prima o poi contatti con il settore dell’Amministrazione Pubblica e con la politica – sempre presenti poiché queste hanno la gestione di spazi, strutture, fondi. – ha specificato Forte – In questa dimensione pubblica il metodo di impresa evoca strategie, programmi, piani, che costituiscono i suoi punti di riferimento ma che non sono quelli della politica. E’ quindi su questo che bisognerebbe lavorare.”
Chi svolge attività nell’ambito dell’impresa culturale ha la consapevolezza di avere una responsabilità nel processo di innovazione della società e dei mondi di impresa. “Questa condizione implica la necessità di poter avere margini elastici di ricerca e sperimentazione, anche riguardo alla discrezionalità di affidare delle attività a persone legittimate su base culturale ed esperienziale. L’Impresa Culturale ha bisogno di discrezionalità amministrativa e criteri di misurabilità, valutazione e giudizio differenti dalle altre imprese. Il ricorso al sistema di assegnazione degli appalti secondo il criterio del “miglior prezzo” mortifica l’elemento di capacità progettuale che è alla base dell’impresa culturale.”
I criteri di misurabilità sono stati un focus importante della giornata di lavori. Inserite in un tessuto di responsabilità sociale, l’impatto sulla società è fisiologico così come è emerso dalla discussione che fisiologico è anche la rilevanza dell’opera che le I.c. hanno sul sistema di tutela del patrimonio culturale, anche quando questa non è la primaria mission dell’impresa. La tutela diventa quindi una “necessità aziendale” e come tale andrebbe declinata all’interno delle voci di bilancio e anche come possibilità di ramo d’azienda.
“L’impresa culturale va anche letta come metodo, poiché essa sa intervenire sui meccanismi di formulazione del “valore” attraverso processi di ibridazione, soprattutto fra pubblico e privato.”. Il Prof. Forte a tale riguardo ha portato l’esempio di Pompei, dove “anche l’impresa che non tratta di cultura come mission primaria ma che decide di utilizzare la cultura, si ibrida, ottenendo nuovi business la cui valenza non è ancora misurabile.”