Rarissime tavolette con iscrizioni cuneiformi e straordinari sigilli risalenti a oltre 5000 anni fa, ma anche sculture, placchette, armi, bassorilievi, vasi e intarsi, sono in mostra a Venezia dal 20 gennaio al 25 aprile negli spazi di Palazzo Loredan. Esposti per la prima volta nell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti circa 200 preziosi reperti della collezione Ligabue, affiancati dalle opere provenienti dall’Archeologico di Venezia e dal Museo di Antichità di Torino, che insieme rievocano la grande civiltà dell’Antica Mesopotamia, territorio oggi inaccessibile.
Con il titolo ‘Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura’, la rassegna, tra reperti e apparati multimediali, presenta infatti anche le testimonianze delle esplorazioni di Paul Emile Botta e Austen Henry Layard, svoltesi nel XIX secolo, e ha lo scopo di illustrare un nodo cruciale, ormai perduto nella notte dei tempi, dell’evoluzione umana, quello appunto della nascita della scrittura (avvenuta quasi contemporaneamente in Egitto e in Mesopotamia verso il 3200 a.C), il cui ruolo è stato fondamentale per le dinamiche di trasmissione del sapere e della conoscenza. La selezione delle opere curata da Frederick Mario Fales dell’università di Udine, tra i maggiori assirologi e studiosi del Vicino Oriente Antico, conduce il visitatore quasi 6000 anni or sono, nella Terra dei Due Fiumi, in un universo di segni, simboli, incisioni, nonché immagini e racconti visivi in grado di testimoniare l’ideazione e la diffusione travolgente della scrittura cuneiforme, illustrando al tempo stesso l’ambiente sociale, economico e religioso dell’Antica Mesopotamia. Del resto, il cuneiforme è durato ben 3500 anni, un arco di tempo lunghissimo. Quella messa insieme da Giancarlo Ligabue, imprenditore ma anche archeologo, paleontologo e grande esploratore scomparso nel 2015, è, sottolinea Fales, ”una collezione di altri tempi”.
Una raccolta straordinaria non solo per entità, qualità e l’importanza storica di questi e altri materiali, ma in quanto testimonianza di un collezionismo rispettoso delle istituzioni, della ricerca e del sapere e, in particolare, dei luoghi. Che poi coincidono la terra di Sumeri, Accadi, Assiri e Babilonesi, quella splendida culla di civiltà, oggi martoriata e saccheggiata dalla guerra e dal terrorismo, che hanno reso inaccessibile il suo patrimonio di bellezza e conoscenza. Dai primi pittogrammi del cosiddetto proto-cuneiforme,(annotazioni a sostegno di un sistema amministrativo e contabile già strutturato), rinvenuti a Uruk, all’introduzione della fonetizzazione (dai segni-parola ai segni-sillaba), la scrittura cuneiforme, con le sue evoluzioni, si sviluppò e si diffuse con estrema rapidità anche in aree lontane: dalla città di Mari sul medio Eufrate a Ebla nella Siria occidentale, a Tell Beydar e Tell Brak nella steppa siro-mesopotamica settentrionale. Ecco dunque che le preziose tavolette esposte a Palazzo Loredan raccontano di commerci di legname o di animali (pecore, capre, montoni o buoi), di coltivazioni di datteri e di orzo per la birra, di traffici carovanieri tra Assur e l’Anatolia, di acquisti di terreni e di case con i relativi contratti e le cause giuridiche.
Celebrano Gudea, signore possente principe di Lagash, promotore di grandi imprese urbanistiche e architettoniche o prescrivono le cure per una partoriente afflitta da coliche, con incluso l’incantesimo da recitare al momento del parto, o testimoniano l’adozione di un bimbo ittita da parte di una coppia o, ancora, le missive tra prefetti di diverse città-stato. Di particolare interesse i sigilli cilindrici, generalmente realizzati in pietre semipreziose, come i lapislazzuli, l’ematite, la cornalina, il calcedonio, l’agata, il serpentino, diaspro rosso o verde, il cristallo di rocca. Accanto alle iscrizioni, venivano ideati motivi iconografici sempre più raffinati, differenziati per periodi e aree geografiche e per tale ricercatezza furono spesso riutilizzati, diffondendosi anche come amuleti, ornamenti, oggetti votivi. Alle tavolette e sigilli si affiancano quindi importanti prestiti del Museo archeologico di Venezia e del Museo di Antichità di Torino. Dal primo provengono i bellissimi frammenti di bassorilievi rinvenuti dallo scopritore della mitica Ninive, Austen Henry Layard, che nell’ultimo periodo della sua vita si era ritirato proprio a Venezia, a Palazzo Cappello Layard (donò i suoi oggetti alla città nel 1875). Da Torino arriva invece un frammento di bassorilievo assiro fortemente iconico raffigurante il re Sargon II, scoperto nel 1842 da Paul Emile Botta, console di Francia a Mosul, e da lui donato al re Carlo Alberto.
Fonte: ANSA.IT