di Fausto Natali –
Per la prima volta nella storia il solenne incontro annuale del Comitato per il Patrimonio Mondiale, svoltosi a Istanbul dal 10 al 20 luglio scorso, è stato interrotto “causa golpe”. Un fulmine a ciel sereno che ha costretto il board UNESCO ad interrompere le proprie attività per un’intera giornata. Dopo il repentino fallimento dell’insurrezione militare il Comitato ha potuto riprendere l’esame dei nuovi siti e terminare nella data prevista, ma la vicenda ha lasciato qualche strascico, al punto che il Comitato ha invitato i propri membri dal 24 al 26 ottobre nella sede di Parigi per riprendere i lavori ed esaminare alcune questioni ancora in sospeso.
A parte questo clamoroso “incidente”, la quarantesima sessione del World Heritage Committee è stata caratterizzata da alcune decisioni di particolare rilievo. Innanzitutto, la straordinaria serialità e transnazionalità di un sito che abbraccia ben sette Paesi in tre continenti. Si tratta de “L’opera architettonica di Le Corbusier”, una selezione di diciassette capolavori architettonici fra quelli che meglio hanno espresso il linguaggio e la creatività del grande architetto franco-svizzero. Un meritato inserimento per un bene che attendeva l’iscrizione dal 2009 e che soddisfa pienamente l’orientamento UNESCO di privilegiare i siti seriali, transfrontalieri e transnazionali.
Per quel che riguarda l’Italia, l’incontro turco ha segnato una nuova tappa nella scalata della Cina al vertice della classifica della World Heritage List, saldamento tenuto dal nostro Paese fin dagli esordi. Con otto nuovi inserimenti negli ultimi cinque anni la Cina ha raggiunto quota 50 (contro i nostri 51) e si è rapidamente avvicinata alla vetta. Non bisogna essere degli indovini per immaginare a breve il temuto sorpasso. L’Italia, infatti, già largamente beneficiaria nel passato di ampi riconoscimenti (dieci nel solo 1997), quest’anno ha segnato il passo, ma le previste candidature dei “Sistemi di difesa veneziani” nel 2017 e di “Ivrea, città industriale del XX secolo” nel 2018 potrebbero venire in soccorso. Da sottolineare che anche la candidatura transnazionale delle foreste di faggio europee e del Parco Nazionale della Sila sono a buon punto.
L’inserimento di un cospicuo numero di siti archeologici è un altro elemento particolarmente rilevante di questa movimentata sessione turca. I ventuno membri del Comitato hanno, infatti, dato il via libera ai Dolmen di Antequera in Spagna, un insieme di antichissimi monumenti megalitici, all’antico cantiere navale della Marina britannica ad Antigua, ad Ani in Turchia, la capitale del regno armeno, a Nalanda Mahavihara in India, probabilmente la più antica università del mondo, ai resti della città murata di Filippi in Grecia e al complesso delle grotte neandertaliane di Gorham in Gran Bretagna e Nord Irlanda. Sempre nell’ambito dei criteri culturali sono stati iscritti anche l’arte rupestre di Zuojiang Huashan in Cina, i Cimiteri medievali della Bosnia-Erzegovina, il complesso architettonico Conjunto Arquitetônico da Pampulha, frutto del genio di Oscar Niemeyer e di altri artisti, i palazzi e le tombe dei 99 isolotti di Nan Madol in Micronesia e i Qanat in Iran, l’antico sistema persiano di trasporto idrico, diffusosi poi con nomi diversi anche in Asia e in Africa.
Anche quest’anno hanno prevalso i criteri culturali, ma non sono stati trascurati i siti naturali. Sei sono, infatti, le promozioni nella prestigiosa Lista: l’arcipelago di Revillagigedo in Messico, il deserto di Lut in Iran, il sito fossile di Point Mistaken sull’isola di Terranova in Canada, le residue foreste primarie di Hubei Shennongjia in Cina, i parchi marini di Sanganeb, della baia di Dungonab Bay e dell’isola di Mukkawar in Sudan e la catena montuosa di Tien-Shan in Kazakhstan, Kyrgyzistan e Uzbekistan. Tre i siti misti: il paesaggio naturale e culturale dell’Ennedi Massif in Ciad, il Parco nazionale del Khangchendzonga in India e il sito sumero di Ahwar in Iraq.
Le difficili condizioni socio-politiche in cui versano alcuni Paesi hanno costretto il Comitato ad inserire otto beni nella Danger List, che così arriva a 55 siti. Cinque in Libia (Cirene, Leptis Magna, Sabratha, Tadrart Acacus e Ghadamès) e uno rispettivamente in Mali (Djenné), in Uzbekistan (il centro storico di Shakhrisyabz) e in Micronesia (Nan Madol).
Dodici siti culturali, sei naturali e tre misti portano il totale a 1052 (814 culturali, 203 naturali e 105 misti). Significativa anche la superficie coperta e protetta dal tempietto dorico dell’Unesco: 222 milioni di ettari per il solo patrimonio naturale.
La suddivisione per aggregazioni continentali vede ancora primeggiare l’Europa-Nord America con 426 siti (il 40% del totale), seguita dall’Asia e dagli Stati del Pacifico con 172, dall’America Latina con 95, dagli Stati Arabi con 73 e dal’Africa, fanalino di coda con soli 43 (il 4% del totale). Sempre dall’Africa arriva un’altra nota dolente, più di un terzo dei 27 Stati membri che ancora non hanno ottenuto alcun riconoscimento fanno parte del continente nero.
Dopo l’appendice di Parigi del prossimo ottobre, appuntamento a Cracovia in Polonia dal 10 al 17 luglio 2017 per la quarantunesima sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale. Do zobaczenia wkrótce!