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di Gita Sen –  In un saggio intitolato “Nessuna emancipazione senza diritti, nessun diritto senza politica”, redatto per il progetto di valutazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs), abbiamo affermato che: “…nell’agenda per lo sviluppo il progresso verso l’uguaglianza di genere e l’emancipazione  femminile richiedono sia un approccio basato sui diritti umani, sia appoggio ai movimenti femminili per poter dare ulteriore impulso ed energia all’agenda. Questi due elementi sono entrambi assenti nel MDG numero 3. L’emancipazione richiede un intervento attraverso varie dimensioni e settori: sul piano sessuale, riproduttivo, economico, politico, legale. Il MDG numero 3, invece, inquadra l’emancipazione femminile solo come riduzione delle disparità educative. Omettendo altri diritti e non riconoscendo i diritti umani molteplici, interdipendenti e indivisibili delle donne, l’obiettivo dell’emancipazione viene distorto e si creano delle disparità nello sviluppo.

Avevamo anche attirato l’attenzione sulle “organizzazioni femminili… come attori chiave nel superamento di tali distorsioni e delle disparità a tutti i livelli, e quindi come attori cruciali nel far progredire l’agenda per l’uguaglianza di genere. Tuttavia le politiche dell’agenda influenzano a tal punto anche le priorità nell’ambito dei finanziamenti che il supporto economico per le organizzazioni femminili e per i progetti sostanziali per l’emancipazione è limitato” (Sen e Mukherjee, 2014, pag. 188).

Ci sono stati molti cambiamenti dalla prima formulazione dei MDGs a seguito della Dichiarazione del Millennio del 2000. Ma è davvero così? Di certo, rispetto alla formulazione dei MDGs, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), sono il risultato di un processo più aperto e inclusivo guidato dalle Nazioni Unite e  rappresentano una fonte di dibattito intenso e diffuso. Eppure, quando si tratta di uguaglianza di genere, gli obiettivi appaiono piuttosto simili.

L’obiettivo del millennio numero 3 si impegnava a “promuovere l’uguaglianza di genere e a emancipare le donne”; il SDG 5 (come convenuto nel processo dell’Open Working Group dell’Assemblea Generale) (Nazioni Unite, 2014), incoraggia a “realizzare l’uguaglianza di genere e a emancipare  tutte le donne e tutte le ragazze”. Tuttavia, a questo livello si possono notare due differenze importanti che riguardano l’esplicita inclusione delle ragazze e la parola “tutte”, che possono essere utilizzate per indicare le sfide che affrontano le persone più emarginate e le più oppresse. Altre differenze sono presenti quando si considerano i target all’interno dell’obiettivo: mentre MDG 3 aveva un solo target, orientato all’educazione, SDG 5 propone una serie di target per porre fine alla discriminazione, alla violenza e alle pratiche dannose, riconosce e dà dignità all’assistenza non retribuita, alla partecipazione e alla leadership nei processi decisionali, oltre all’accesso universale all’assistenza sanitaria in ambito sessuale e riproduttivo e ai diritti riguardanti la riproduzione. Resta da vedere come SDG 5 e i relativi target proposti si possano concretizzare in indicatori, e se questi ultimi saranno efficaci e fruibili al fine di vigilare sull’andamento dei target, (specialment quando le situazioni sono più complicate).

Allo stesso tempo, nonostante i progressi rispetto agli MDGs, SDG 5 risente ancora di un limite preoccupante: l’assenza di un esplicito riconoscimento dei diritti umani delle donne e delle ragazze. Questo articolo è stato scritto anche come una battaglia per l’affermazione dei diritti umani delle donne e il ruolo di coloro che difendono tali diritti, battaglia è stato aspramente combattuto al meeting annuale della CSW (Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne). Ciò che accade in CSW è importante, essendo questa un’istituzione riconosciuta in tema di controllo e vigilanza e in quanto protetta dall’egida di UN-Women (ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile), che sarà il principale braccio operativo per la realizzazione di SDG 5.

La dichiarazione politica della CSW (Nazioni Unite, 2015), la quale rappresenta il risultato principale dell’incontro, inquadra i diritti umani in termini non operativi; ancora una volta nel paragrafo 2 dove si riconosce che l’esecuzione del BPFA (Beijing Platform for Action) e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne si rafforzano a vicenda per il concretizzarsi dei diritti umani delle donne e delle ragazze; e ancora nel paragrafo 5 dove i diritti umani delle donne sono elencati come uno dei 12 punti critici del BPFA. Il tentativo di intessere il tema dei diritti umani nel documento non è andato a buon fine; ma nemmeno il tentativo di rimuoverne ogni menzione. Il paragrafo 6, il principale paragrafo operativo, in cui i governi si impegnano ad agire, non contiene nulla di esplicito sui diritti umani; così come in nessun altro paragrafo.

Solo dopo lunghe trattative e ribattendo ad argomenti come quelli portati da uno Stato membro osservatore, ossia che i diritti umani delle donne sono solo uno fra i 12 punti del BPFA e che non dovrebbero essere citati esplicitamente, si è potuto convenire sulle pur sempre limitate menzioni ai diritti umani nella dichiarazione politica del CSW. Il fatto che i diritti umani delle ragazze e delle donne siano ancora un argomento di discussione 15 anni dopo la Dichiarazione del Millennio e 20 anni dopo la quarta conferenza mondiale sulle donne, rappresenta un passo indietro. Questa reazione negativa rischia di rallentare i progressi e i veri cambiamenti riguardanti le norme e le strategie necessarie per realizzare i diritti umani delle donne, riconosciuti dagli Stati Membri in occasione delle Conferenze delle Nazioni Unite a Vienna, al Cairo, a Pechino negli anni novanta.

Mentre i finanziamenti per mettere in atto tali norme e strategie sono stati profondamenti inadeguati, insufficienti, come hanno sottolineato Sen e Mukherjee nei loro articoli; le norme stesse però sono basi essenziali, irrinunciabili.

I diritti umani sono argomento di discussione perché, a differenza di politiche e programmi, sono spesso più chiaramente controllati giuridicamente, e possono essere strumenti per mettere governi e altri enti di fronte alle proprie responsabilità quanto ad atti e omissioni. Questo passo indietro, che va a scapito dei diritti umani delle donne, è stato causato da alcuni Stati membri (e osservatori) delle Nazioni Unite, Stati ed enti che risultano deboli per quanto riguarda la discriminazione contro le donne, e le cui leggi, le politiche, le pratiche, sostengono la diseguaglianza di genere in un’ampia gamma di dimensioni. Un fattore rivelatore di chi sia l’autore di questo passo indietro è stato il rifiuto della Dichiarazione Politica di riconoscere il ruolo chiave di chi difende i diritti umani delle donne, persone che spesso mettono a repentaglio la propria libertà e la propria vita per proteggere e per far progredire i diritti umani di ragazze e di donne a rischio. Tuttavia, la causa non risiede solo in questo.

Il rifiuto da parte di altri Stati membri di riconoscere la connessione, l’interdipendenza indissolubile che unisce diritti economici, sociali, culturali, a diritti civili e politici, è una grave sfida nel cammino verso il compimento di SDG 5.

Infine, occorre anche chiedersi: dove sono i soldi? Come enunciato nella relazione dell’OWG, ogni SDG ha i propri target e i propri strumenti di attivazione. Per quanto riguarda SDG 5, si menzionano riforme legali e tecnologia (5.a, 5.b, 5.c), ma non vi è alcun riferimento a finanziamenti. Ricordando che una delle principali falle nell’attuazione di MDG 3 è stata proprio l’insufficienza dei finanziamenti, la sfida del finanziamento del SDG 5 sarà un ostacolo serio, a meno che diventi una questione centrale per i suoi mezzi di attuazione.

Chi è Gita Sen: Professore di Politiche Pubbliche all’Indian Institute of Management di Bangalore, India, e Professore Aggiunto di Sanità Globale e Popolazione alla Harvard T.H. School of Public Health, Stati Uniti

Fonte: Onu Italia