Mercoledì 6 aprile presso il Ministero dei Beni Culturali sono state presentate le “Raccomandazioni” di Ravello Lab 2015 – Colloqui Internazionali, promosso dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali e da Federculture. Prossimo appuntamento ad ottobre, dal 20 al 22.
Ravello LAB, il forum europeo su cultura e sviluppo che ogni anno coinvolge rappresentanti delle principali istituzioni italiane ed europee insieme ad amministratori, operatori ed esperti internazionali in un approfondito confronto sulle politiche culturali e sui processi concreti in grado di collegare la cultura all’innovazione sociale e allo sviluppo economico dei territori.
Analizzati i punti di forza e le criticità del sistema italiano, il Ravello LAB ha portato l’attenzione sul riconoscimento della necessità e del valore dell’adozione di un approccio integrato nei processi di valorizzazione territoriale, dall’altro, sulle forme che deve assumere il confronto tra gli attori territoriali impegnati nel delineare percorsi di sviluppo locale e quindi sulla governance partecipativa. Altro tema discusso il rapporto difficile fra l’innovazione tecnologica e l’intero comparto del mondo della cultura, sia a livello gestionale che di produzione dei contenuti per il pubblico.
Approccio integrato nei processi di valorizzazione territoriale.
“E’ una consapevolezza ormai radicata a livello europeo e riconoscibile anche nelle migliori esperienze italiane che l’integrazione (tra istituzioni, patrimoni, pubblico e privato) rappresenta la strategia vincente per la valorizzazione del patrimonio culturale. Dove manca è difficile valorizzare i patrimoni, dove esiste si ottengono migliori risultati, dove si indebolisce regrediscono anche le buone pratiche.”. In Italia, dopo il riordino del territorio a livello amministrativo, con la cancellazione delle Province, è difficile individuare soggetto intermedio tra Regioni e Comuni che possa promuovere e guidare una pianificazione di area vasta e sviluppare una progettazione integrata territoriale. “Se è vero che è ormai condivisa la convinzione che il patrimonio culturale, nella sua più ampia accezione, costituisca un fattore importante nelle strategie di valorizzazione territoriale, tuttavia, le numerose esperienze di pianificazione dello sviluppo locale che negli ultimi anni sono state realizzate di frequente non hanno generato nei territori i cambiamenti auspicati in termini di crescita economica sostenibile ed inclusiva. -Si legge nel documento presentato. – Automatismi e tecnicismi della programmazione, infatti, hanno spesso indotto a sperimentare, indifferentemente nei diversi contesti, modelli di sviluppo locale precostituiti, ove anche l’applicazione dei principi di integrazione e partecipazione è stata più formale che sostanziale.”
A questo proposito, quindi, le Raccomandazioni riconoscono la necessità di “Restituire centralità ai territori e alle comunità locali, veri protagonisti dei processi di pianificazione dello sviluppo locale che dovrà perseguire congiuntamente crescita economica e miglioramento della qualità della vita. Vanno perseguiti processi di integrazione autentici, superando le logiche settoriali che hanno contraddistinto sino ad ora le politiche e, in questo senso, anche il “progetto culturale” va inserito nel più complesso e articolato progetto territoriale.“. In questa ottica diventa necessario “compiere un salto culturale e produrre un cambio di paradigma. Progetti finalizzati a rafforzare la competitività territoriale non possono tenere disgiunte la componente dello sviluppo economico dei territori da quella del miglioramento della qualità della vita delle comunità locali.”.
Dal punto di vista operativo, quindi, bisogna invertire l’ottica con cui si affrontano i processi di valorizzazione e quindi “ragionare all’interno di una strategia che pone al centro il territorio e i suoi fruitori, e solo in questa prospettiva interpretare i fabbisogni di chi ha la titolarità del bene e non viceversa; correggere il focus che tende sempre a collocarsi sul bene, prevalentemente di proprietà pubblica, e trascura le attività culturali, di fatto rinunciando a produrre un vero rinnovamento delle policy attraverso occasioni di integrazione tra il settore pubblico e gli operatori culturali del territorio, occasioni di interdisciplinarietà, insite nella molteplicità delle espressioni artistiche e culturali, ed anche di intersettorialità, in ragione delle sinergie che potrebbero essere create tra settore culturale e altri settori delle economie locali; assumere all’interno dei processi di pianificazione strumenti e metodi per valutare gli effetti degli investimenti, individuando e quantificando indicatori sia di contesto che puntuali che consentano di valutare l’effettiva capacità del patrimonio e delle attività culturali di fungere da traino per lo sviluppo e di concorrere alla qualità di vita delle popolazioni; integrare il caratteristico trinomio tutela – valorizzazione – fruizione con una nuova componente, quella della produzione culturale.”. Centrale sarà quindi dare continuità alla produzione culturale; ridare centralità alle imprese culturali e costruire una vera politica industriale.”.
Governance partecipativa
In questo quadro generale si inserisce la necessità di individuare un nuovo corso di governance, che deve necessariamente diventare partecipativa, ossia che offra “opportunità per promuovere la partecipazione democratica, la sostenibilità e la coesione sociale e per affrontare le sfide sociali, politiche e demografiche odierne.”.
Le Raccomandazioni in questo ambito, avendo a riferimento la Convenzione di Faro che riconosce che “il diritto all’eredità culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale” e che pertanto esiste “una responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’eredità culturale”, riconoscono e promuovono il ruolo attivo delle comunità nel riconoscimento dei valori identitari e devono essere perseguiti processi di valorizzazione partecipativa, fondati sulla sinergia fra pubbliche istituzioni, componenti economiche, società civile. “Dovrà essere favorita la sperimentazione di forme di governance partecipativa; le esperienze realizzate, peraltro, insegnano che sperimentazioni ben condotte possono anche anticipare le pur necessarie revisioni normative che si attendono in materia di collaborazione pubblico-privato considerando che l’accompagnamento di una authority può consentire di introdurre “licenza di innovazione” all’interno dei processi di valorizzazione, in tal modo gestendo/contenendo gli effetti di norme che ostacolano l’efficace collaborazione tra istituzioni pubbliche e privati.”.
Dal punto d vista operativo, quindi, le comunità dovranno riappropriarsi dei luoghi in termini affettivi e patrimoniali e devono essere messe in grado di progettare e gestire il patrimonio. In questo quadro è necessario intraprendere un’azione di rafforzamento della capacitazione territoriale, soprattutto nel Mezzogiorno, considerando il rischio che il processo di decentramento sotteso alla politica di sviluppo locale, possa ulteriormente incrementare il già evidente divario nord-sud. “Questa azione di empowerment collettiva deve riguardare tutte le componenti, istituzioni pubbliche e private, professionisti, stakeholder potenziali in un processo di scambio incrociato di know-how e punti di vista.”, si legge ancora e in questo ambito “viene auspicato un rafforzamento delle capacità delle istituzioni”.
“C’è un gap tra comunità e patrimonio: troppo spesso il patrimonio gestito in modo non appropriato ha fatto sì che le comunità se ne siano sentite distanti e non abbiano colto le sue capacità di produrre benessere. Per mettere in grado le comunità di operare a favore del loro patrimonio bisogna intervenire per incrementare coscienza e conoscenza. – viene spiegato ancora – Le scuole devono diventare veri e propri gateway e presidi culturali del territorio, luoghi dove cresce la coscienza culturale e devono farsi protagoniste del processo di valorizzazione del patrimonio culturale. Così anche è necessario rafforzare le relazioni tra i sistemi della conoscenza e lo sviluppo economico e sociale, rendendo coerente la formazione con il mercato del lavoro, promuovendo l’accesso all’apprendimento permanente (lifelong learning), favorendo la diffusione e la messa in rete delle esperienze più innovative e di successo.”.
Digitalizzazione e nuove tecnologie
Nei lavori del RAVELLO LAB sono stati anche analizzati i rapporti fra il mondo della cultura e le nuove tecnologie, le opportunità che esse danno e l’economia delle stesse. In linea generale si è discusso sulla inadeguatezza degli strumenti e della conoscenza che la pubblica amministrazione ha maturato verso queste diverse, non più nuove, frontiere della gestione del mondo della cultura, in ogni sua declinazione. Si raccomanda quindi, innanzitutto un necessario adeguamento, a partire dal’ assunzione di responsabilità nella costruzione ed attuazione delle policy, una revisione dell’impianto normativo burocratico connesso alle ICC e la reinterpretazione del rapporto di cooperazione tra pubblico-privato nel sistema di accesso alla finanza e di agevolazione della fiscalità, così come sostenendo e promuovendo la creazione di ecosistemi ai quali partecipano soggetti pubblici, soggetti privati, enti di ricerca pubblici e/o privati, operatori finanziari ed anche intermediari professionali, dotati di autonomia decisionale e di governante.
Rispetto alle possibilità offerte dalla digitalizzazione e considerato il relativo cambiamento delle abitudini e delle capacità di fruizione del prodotto culturale da parte del pubblico, si rende necessario introdurre delle variazioni rispetto alla funzione ed all’organizzazione dei contenitori tradizionali, dai musei alle biblioteche. Digitalizzazione dei supporti, proiezioni, fruibilità di open data service andrebbero implementate ad ogni livello di approccio sociale e demografico. “Per favorire la maturazione di una dimensione imprenditoriale per i soggetti del sistema culturale è necessario accompagnarli nel percorso di acquisizione di strumenti sempre più completi nel progettare esperienze di interazione con l’utente che siano in grado di calibrarsi sulle nuove abitudini di fruizione e consumo, influenzati in modo significativo dalla pervasiva presenza dei device digitali portabili nella vita quotidiana. – si legge nel documento – In ambito digitale imprenditoriale è bene sostenere e incoraggiare logiche di co-opetition tra piccole aziende, che aggregandosi possono giungere a competere sullo scenario globale anche con stakeholder di rilevanza primaria e costruire la propria risposta alla crisi finanziaria globale, che rischia – in alternativa – di asseverarsi come crisi di pensiero. Fondamentale in tal senso un percorso di reale semplificazione burocratica e amministrativa per la gestione dei consorzi e delle formule di compartecipazione.” Inoltre le Raccomandazioni indicano una nuova ed inusuale via alla diffusione della cultura: “la gamification e le dinamiche ludiche costituiscono un linguaggio e un sistema di valori con forte capacità di attrazione, motivazione e mobilitazione degli utenti, e va quindi esplorata a livello sistemico come elemento di accelerazione dei processi di engagement della comunità in diversi settori, a partire da quello digitale, in grado di metterne a frutto le potenzialità”.
A questo punto, in un mondo così complesso e proiettato verso nuove frontiere della conoscenza e della divulgazione, si rende necessario che vengano formate generazioni di operatori al passo con l’implementazione tecnologica e con il “Business Knowledge”. Pr questo il gruppo di lavoro raccomanda che nascano Master e corsi di alta formazione progettati di con attori del mercato in qualità di partner per l’individuazione reale e applicativa delle competenze da formare in base alle esperienze. “Occorre determinare linee guida che indichino i valori minimi per l’attivazione dell’offerta formativa favorendo maggiore interdisciplinarità inter e intra dipartimenti, ricercando l’aggregazione di partner esterni, rafforzando la capacità di ascolto delle amministrazioni pubbliche”. Gli strumenti dell’offerta formativa dovrà insistere sull’utilizzo dei business plan e strumenti di accountability e rendicontazione a corollario dei percorsi di alta formazione secondo standard europei. “Occorre avviare alcuni processi normativi e regolamentari finalizzati al riconoscimento di un marchio di qualità, una “brand equity” dell’offerta formativa, in particolare individuando nel modello della scuola “A Rete” in Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities, il facilitatore di un processo partecipativo “dal basso” che consenta ai player della formazione di organizzarsi in poli formativi e di sviluppare un’offerta formativa di richiamo e competitiva a livello europeo e internazionale, riconoscendo così all’Italia un ruolo di leadership in quei settori. – conclude il documento – Sarebbe altresì opportuno costruire una specifica azione di posizionamento di questo brand attraverso un focus area di Horizon 2020.“. A livello strettamente finanziario, si propone infine di destinare il 10% alla formazione continua dei dirigenti pubblici, immaginando percorsi di affiancamento (stage, tirocini) a favore dei giovani che aspirano a essere manager in ambito pubblico, internamente all’accordo MIBACT – MIUR, che prevede un investimento di 30 milioni di euro.
Fonte: Federculture