Il 25 e 26 ottobre si sono tenuti a Roma gli “Stati Generali del Paesaggio”, organizzati e promossi dal MiBACT : due giorni ricchi di proposte e spunti di riflessione per una ‘rinascita’ del paesaggio in Italia in termini di educazione, consapevolezza, tutela e valorizzazione, dove, più volte, è stata ribadita l’urgenza che il Parlamento approvi il prima possibile la legge sul contenimento del consumo di suolo, ancora ferma al Senato.
Negli stessi giorni vaste aree montane del Piemonte, dalla Val di Susa al Cuneese fino al Canavese, con qualche focolaio anche sopra Biella e in Lombardia, nel Comasco, in provincia di Sondrio, in provincia di Varese e nel Bresciano hanno continuato a bruciare, in una serie di incendi che ancora oggi sta devastando il patrimonio naturale enorme, territori nei quali risiedono comunità di centinaia di famiglie e che – di questo paesaggio – sono fruitori e tutori.
“L’identità italiana nasce nell’incrocio fra la Natura e la Storia – ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nel corso del suo intervento – ed è per proteggere e valorizzare i risultati di questo incrocio che bisogna agire.”. Le parole di Gentiloni sembrano aderire in qualche modo alle richieste e alle impellenti necessità delle comunità colpite dal fuoco dell’ultima settimana, mentre risulta sempre più palesemente che le risorse messe in campo non siano sufficienti, né per spegnere i roghi in corso né per prevenire l’incidenza degli incendi boschivi, che in Italia sono negli ultimi 6 mesi hanno divorato più di 75.000 ettari di territorio, migliaia di ettari di quel paesaggio del quale si è tanto parlato a Roma.
E’ forse lecito chiedersi dov’è che stiamo andando in materia di tutela e valorizzazione del Paesaggio. Un punto di partenza per questa riflessione è dato dal Rapporto sullo stato delle politiche del Paesaggio, redatto dall’Osservatorio Nazionale per la Qualità del Paesaggio e presentato nel corso degli Stati Generali. A partire da questi e sulla base delle riflessioni e sollecitazioni scaturite dagli interventi dei relatori invitati agli Stati Generali – secondo l’impegno preso dalla stessa Borletti Buitoni – si avvierà nelle prossime settimane la scrittura della Carta del Paesaggio: un documento che intende porsi come programma, guida e visione strategica per il presente e il futuro del nostro patrimonio.
La Carta del Paesaggio si muoverà essenzialmente sui temi della legislazione in materia, sul concetto di paesaggio e della sua valenza dal punto di vista economico, il ruolo che lo stesso concetto di paesaggio ha nella progettazione territoriale e nella formazione ed educazione delle giovani generazioni, anche come strumento di legalità ed inclusività sociale.
Andrea Carradini, presidente del FAI – che ha attivamente partecipato all’organizzazione degli Stati Generali e contribuirà alla stesura della Carta – auspica a proposito del documento in via di realizzazione che “ci dica cosa dobbiamo fare per salvarlo, valorizzarlo e fruirlo.”
L’impegno alla tutela e alla valorizzazione del “bene paesaggio” è stato ribadito da tutti i relatori partecipanti, dagli economisti alle forze dell’ordine, passando per le Istituzioni e gli scienziati.
Secondo quanto raccolto, quindi dagli operatori del FAI, questi i punti sui quali – nei prossimi mesi – verrà stilata la Carta del Paesaggio.
Legislazione e diritto al paesaggio
Si conferma la strategicità del piano paesaggistico che è lo strumento evolutivo della valorizzazione e della tutela del paesaggio perché permette di coniugare le esigenze di tutela con le esigenze razionali di gestione e programmazione del territorio in un’ottica di gestione sostenibile del paesaggio.
All’interno del piano paesaggistico gli strumenti vincolistici tradizionali devono essere conservati, coordinati e razionalizzati. Il piano paesaggistico definisce il luogo giuridico-normativo certo di condivisione di regole chiare di uso compatibile del territorio e deve essere gerarchicamente sovraordinato a qualsiasi altro strumento di pianificazione e, soprattutto, deve durare nel tempo senza essere modificabile, se non per eventuali rafforzamenti, mai deroghe, per evitare la sua continua ridiscussione. Deve essere la “Costituzione” del territorio.
Infine, è necessario mantenere l’autonomia della nozione giuridica del Paesaggio. Il diritto decide laddove ci sono conflitti e su una medesima porzione di territorio emergono interessi in conflitto e valori che si confrontano dialetticamente rispetto ai quali è necessario fare delle scelte; solo grazie alla nozione giuridica di paesaggio l’operatore giuridico può stabilire una gerarchia tra questi valori, si suggerisce anche di stabilire una gerarchia legale di valori, affinché l’interesse diffuso non sia soccombente nel conflitto locale.
Paesaggio: bene comune e risorsa economica
Incalzano le conseguenze di scelte di sviluppo del passato. Per poter fare un salto di qualità è necessario:
- realizzare con urgenza investimenti ingenti di risorse umane nella pubblica amministrazione per garantire la partecipazione;
- costruire luogo per luogo patti con le comunità affinché i piani paesaggistici e i piani di sviluppo incorporino le idee e le scelte dei cittadini, che di quei piani diventano così i paladini;
- rafforzare la strategia nazionale delle aree interne attraverso la realizzazione di“prototipi” di esperienze concrete ;
- elaborare una simile strategia per le aree metropolitane, costruendo una visione nazionale del paesaggio urbano ;
- riavviare il Comitato interministeriale per le politiche urbane – ora dormiente – in coerenza con l’impianto dell’Agenda per lo Sviluppo sostenibile 2030, cui l’Italia ha aderito;
- istituire un Dipartimento permanente per la “ricostruzione” che assicuri la visione unitaria e la continuità alle scollegate ricostruzioni;
- assicurare un’attività formativa permanente sul paesaggio;
- mettere a sistema tutti dati riguardanti il paesaggio e il territorio attraverso la creazione di piattaforme aperte e accessibili a tutti i cittadini; e che questa cartografia sia portata all’attenzione dei cittadini da 10 milioni di studenti.
Paesaggio, politiche di trasformazione territoriale e qualità progettuale
Riprendendo il dettato Costituzionale, ben rappresentato nell’art.9 della Carta, si sottolinea che il paesaggio contribuisce in modo determinante a definire l’identità nazionale, perché paesaggio e patrimonio storico-artistico determinano la forma dell’intero Paese, come ha scritto Giuseppe Severini, sono quindi valori da preservare.
Siccome paesaggio e patrimonio storico-artistico sono valori della Nazione è obbligatorio garantire in tutto il territorio nazionale un uguale livello di tutela con uguali criteri, questo esclude ogni devoluzione di questi poteri alle singole Regioni.
La tutela è responsabilità dello Stato: servono maggiori fondi per l’ordinaria amministrazione delle Soprintendenze e un personale competente potenziato.
Il paesaggio degradato va recuperato attraverso una politica attiva che parta in primisdalle periferie proponendo un reale e costruttivo confronto tra le Regioni e stabilendo obiettivi comuni come, per esempio, la mappatura delle aree dismesse e degli edifici abbandonati.
Vanno ricuciti i paesaggi urbani e peri-urbani con le campagne per costruire contestiarmonici e soddisfacenti che per vive in queste zone.
Legalità e inclusione sociale: verso il diritto a paesaggi di qualità
La vera consapevolezza da raggiungere e diffondere è che il paesaggio siamo tutti noi: la responsabilità delle scelte è sì di chi amministra i territori, ma anche dei cittadini che li vivono ogni giorno. Paesaggio e società sono strettamente interconnessi: il primo riflette regole e valori del secondo e il suo degrado produce, a sua volta, disgregazione sociale. L’illegalità si nutre del degrado, così come l’omologazione dei luoghi produce emarginazione. Come ha ricordato il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, “la bruttezza, che è una qualità estetica, produce bruttura, che è una qualità morale”.
In quest’ottica bisogna affermare un’etica del paesaggio tale per cui la sua riqualificazione, soprattutto se condotta con azioni di partecipazione, diventa un fattore per la rigenerazione sociale. Da una parte serve una maggiore certezza delle norme e la definitiva censura di ogni forma di condono per gli abusi edilizi e paesaggistici, dall’altra le norme da sole non bastano, è la consapevolezza dei cittadini a giocare un ruolo decisivo. L’obiettivo deve essere raggiungere una “tutela sociale” attraverso la tutela del paesaggio.
Rispetto ai piano paesaggistici è necessario trovare forme di premialità per le Regioni che li hanno approvati, ma anche sanzioni per chi ancora non ha ottemperato. Le Soprintendenze devono essere più vicine alle comunità locali in quanto il ruolo del MiBACT deve essere quello di connettere i cittadini al patrimonio superando una visione proprietaria ed elitaria dei beni culturali e del paesaggio.
Infine, per favorire ricerca e sviluppo occorre che il MiBACT stringa alleanze sempre più forti con il mondo delle università.
Cultura del Paesaggio: educazione, formazione, partecipazione
La cultura del paesaggio è debole perché la cultura del patrimonio è forte, ma quest’ultimo perde il suo valore se viene separato dal contesto. Serve un mutamento culturale profondo che ci permetta di imparare a vedere la ricchezza del nostro territorio: “il paesaggio – ha sottolineato il Presidente del FAI – non è i suoi monumenti, non è i suoi musei, neppure diffusi, ma sono i volti di oltre tre millenni di storia che stanno sotto i nostri piedi e davanti ai nostri occhi che però spesso non lo sanno vedere o preferiscono guardare attraverso schermi e feticci”. E’ un appello al valore sociale e politico del paesaggio, custode dell’identità del nostro Paese.
Un’educazione alla “lettura” del nostro patrimonio che deve iniziare dalle scuole, attraverso il potenziamento dell’insegnamento dedicato alla “valorizzazione e tutela del paesaggio e ai beni culturali” con una finalità di educazione civica, e poi affermarsi nelle università. Senza dimenticare gli oltre 500mila professionisti che operano sul territorio e ne governano le trasformazioni: architetti, ingegneri, geometri, agronomi, a cui si aggiungono i tecnici che lavorano nella pubblica amministrazione, gli amministratori e i funzionari delle Soprintendenze. Una formazione culturale, non un mero aggiornamento normativo.
Non c’è mutamento se non c’è dialogo: per questo è necessario che il lavoro e l’impegno della moltitudine di associazioni, cooperative sociali e osservatori locali siano riconosciuti e ascoltati dalle Istituzioni, creando un ponte tra queste e la società civile.