Montagna Accessibile, un binomio per nulla scontato. Accessibilità: una sfida per tutti gli appassionati di montagna che trovandosi in condizioni di diverso grado di abilità faticano a godere di quelle emozioni che solo l’alta quota sa regalare. Una sfida che la Fondazione Dolomiti UNESCO ha accolto con entusiasmo, al fianco di numerosi soggetti che portano avanti l’obiettivo di rendere inclusiva l’esperienza di visita nelle terre alte.
“Dolomiti Accessibili. Un patrimonio per tutti” è il progetto, finanziato grazie al MiBACT tramite la legge 77/2006, che intende contribuire a fare delle Dolomiti UNESCO un patrimonio accessibile a tutti. Le Dolomiti sono montagne particolarmente accessibili: la loro particolarissima origine e conformazione permette di avvicinarsi alle vette del Patrimonio Mondiale più che in qualsiasi altro contesto montano. Le Dolomiti UNESCO, con la loro straordinaria rappresentatività, sono così il contesto ideale per attuare un progetto di inclusività sociale che permetta a tutti – abili e non – di accedere al Patrimonio Mondiale, in autonomia oppure accompagnati da una guida esperta.
L’accessibilità al Bene alle persone diversamente abili costituisce, inoltre, una delle linee strategiche incluse nella Strategia Complessiva di Gestione del Sito Dolomiti UNESCO, il quadro di riferimento per le azioni che riguardano la gestione di questo Bene seriale tanto complesso. Per tale motivo la Fondazione Dolomiti UNESCO, in collaborazione con l’Accademia della Montagna del Trentino, ha organizzato un programma formativo destinato a istruire figure professionali esperte nell’accompagnamento di persone con disabilità. Il prossimo appuntamento è a Maniago il 9 e il 10 giugno. Informati qui.
A proposito di accessibilità e inclusività condividiamo l’esperienza di David, Eduardu e Miriam raccontata dalla penna di Luca Calzolari per il Corriere della Sera. Non siamo nelle Dolomiti, bensì in Bolivia sulla Coridillera Real. Luoghi geograficamente distanti ma che raccontano la stessa sfida.
«Crediamo nel binomio possibile tra montagna e disabilità, nel rispetto e nella valorizzazione della Terra e di tutte le diversità che la compongono». Parole, queste, che suonano come un manifesto. A pronunciarle sono David, Eduardu e Miriam. La loro è una straordinaria storia di amicizia e d’integrazione che nasce e si sviluppa nelle montagne della Cordigliera Real in Bolivia. La rottura di una vertebra lombare e la perdita della mobilità negli arti inferiori di David non ha rappresentato certo una barriera per continuare a scalare e a vivere la montagna. Anzi, per i tre amici è già pronta una nuova sfida.
Non solo credono che la montagna sia inclusiva, accogliente, rigeneratrice. Credono anche «nell’importanza di vivere i propri sogni» e nello «sviluppo sostenibile del pianeta» che passa attraverso il sostegno dell’economia locale e la promozione del turismo sostenibile. Questo è il loro credo.
Tre alpinisti, tre paesi differenti d’origine, tre storie complementari. Tre persone che s’incrociano quasi per caso; e un solo sogno: quello dell’alpinismo senza barriere, che loro interpretano come forma di benessere e inclusione sociale per le persone disabili.
Miriam Campoleoni è una giovane studentessa italiana. Ha poco più di vent’anni, frequenta Scienze umane dell’ambiente ed è partita da Milano per la Bolivia, dove ha svolto servizio come volontaria in una casa d’accoglienza per ragazzi di strada (Oikia). È suo padre ad averle trasmesso la passione per la montagna. Lui, come tutta la famiglia, è socio del CAI – Club Alpino Italiano. «Tutte le nostre vacanze, fin da piccola, erano in montagna. Per noi il mare non è mai esistito» ci racconta. Eduardo Unzueta è invece direttore di un’agenzia di viaggi specializzata in alta montagna (Go Bolivia). Infine ecco David Mauricio Ramìrez Duarte, para-alpinista colombiano. Quattro anni fa è caduto durante un’arrampicata. Un volo lunghissimo. Quei venti metri sembravano non finire mai. D’accordo, quella volta si è salvato. Ma la sua colonna vertebrale si è rotta.
«Sono rimasto incosciente per quasi quaranta minuti, a più di sessanta metri dal suolo» racconta David. «Dopo essere stato recuperato fui trasportato in ambulanza a Bogotà, la città più vicina. Diagnosi impietosa: distruzione della seconda vertebra lombare, compromissione del midollo spinale e perdita della mobilità negli arti inferiori del corpo. L’intervento chirurgico era necessario. Più di undici ore di sala operatoria. La vertebra frantumata fu sostituita con una in titanio».
Seguono la terapia intensiva, la perdita di peso (arrivò a toccare 38 chili) e la sedia a rotelle. Poi, dopo cinque lungi mesi, David ha iniziato a muovere le dita del piede destro. Inizia così la fisioterapia. «Qualche settimana dopo andai al campo base del Pico el Judìo nel pàramo Almorzadero, a 3.800 metri. Riuscii a camminare per alcune ore con l’aiuto dei bastoncini, arrivando fino a quota 4.200. Avevo dolori fortissimi, ma piangevo di allegria sentendo la medicina che la montagna in quel momento mi stava regalando».
Ed è qua che virtualmente inizia il sogno dei tre nuovi amici. David apre un’agenzia di turismo per la conservazione e la salvaguardia dell’ambiente montano (El Andinista) e insieme a Eduardu e Miriam ecco che si compie il secondo grande miracolo laico (o, se preferite, della natura): la conquista della cima dello Huayna Potosí, 6.088 metri – la cima più alta mai raggiunta da un para-alpinista colombiano – nella Cordillera Real, a est di La Paz.
Era l’agosto del 2016, ma ora David, Eduardu e Miriam sono pronti per una nuova impresa: vogliono salire in sequenza Huayna Potosí, Illimani (6.450 metri) e Sajama, lo stratovulcano delle Ande che con i suoi 6.542 metri è l’ottavo più alto di tutto il mondo.
Miriam partirà di nuovo dall’Italia il prossimo 14 giugno. La spedizione, che durerà un mese, prenderà il via sei giorni dopo. Lo scopo del loro progetto, chiamato “Breathing new life” (un vero inno alla vita), è quello di sensibilizzare e fare rete per promuovere la cultura della montagna come forma di benessere. Per questo, a sostenerli, oltre a “Go Bolivia” e “El Andinista” ci sono anche “Lambda” (associazione di giovani che credono nell’avventura in montagna) e la Fondazione “I Care Ancora Onlus” (che si occupa di case-famiglia e di inclusione sociale). Per sostenere il progetto di crowdfunding basta cliccare su qui. Per leggere il diario della loro impresa, invece, occorrerà pazientare in attesa del numero di settembre della rivista “Montagne360”, il mensile del Club Alpino Italiano.
Fonte: Fondazione Dolomiti UNESCO