Si è tenuta a Venezia, venerdì scorso presso palazzo Badoer, una giornata di confronto sui metodi di gestione efficace dei siti del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO di scala territoriale, alla quale hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni e delle amministrazioni locali, nonché dei comitati di gestione ed enti, che gestiscono i siti UNESCO italiani.
Attualmente, per tutti i siti ufficialmente iscritti nella lista del Patrimonio mondiale UNESCO, è previsto che lo Stato di riferimento (in questo caso l’Italia) assicuri servizi adeguati per la “protezione, conservazione e fruizione del patrimonio”, e l’adozione di “misure legali, scientifiche, tecniche, amministrative e finanziarie appropriate per proteggere il patrimonio”, affinché non siano assunti provvedimenti che “direttamente o indirettamente danneggino il patrimonio”.
Nei siti particolarmente estesi, che interessano parti significative di territori nei quali la popolazione vive, lavora, si muove e produce trasformazioni quotidiane, ai problemi di gestione ordinaria dei siti (tutela, manutenzione, flussi di visitatori) se ne aggiungono molti altri, che richiedono approcci adeguati. In particolare, la consapevolezza che tutto il territorio (non soltanto i suoi monumenti o i suoi beni vincolati) va considerato “patrimonio”, e che ciò rappresenta una straordinaria opportunità, ma richiede la messa in campo di azioni e politiche appropriate, capaci di garantire la riproduzione del valore di questo specifico patrimonio, rappresenta tuttora un nodo problematico non risolto.
Anche al di là dei richiami ufficiali che nel corso degli anni il Comitato del Patrimonio Mondiale, organo decisionale della Convenzione, ha rivolto alla gestione di singoli siti (ultimo in ordine di tempo quello nei confronti di Venezia, preceduta peraltro da una lista abbastanza numerosa), una serie di valutazioni critiche più ricca e articolata sulle capacità di garantire un’adeguata gestione dei siti UNESCO, sia pur espressa in modo assai diplomatico, è presente nel recente Rapporto 2011-2015 per l’Europa che ha messo a sistema le risposte offerte dai siti stessi su una serie di questioni comuni raccolte in un formulario (World Heritage 39 COM, 29 maggio 2015).
Se nei richiami critici riferiti ai singoli siti le questioni ricorrenti riguardano le carenze dei piani di gestione dei siti, le pressioni infrastrutturali ed edilizie, i carichi turistici, il Rapporto contenuto nella Decisione 39 COM del 2015 pone invece l’accento sull’efficacia complessiva dei sistemi di gestione dei siti e sulla capacità di aumentare la consapevolezza non soltanto del pubblico, ma anche delle comunità locali e dei diversi decisori istituzionali e non.
Nel passato la questione dei Piani di Gestione dei siti è stata affrontata dal MiBACT, Commissione consultiva dei Piani di gestione, con la predisposizione di linee guida per Il Modello del Piano di Gestione (2004). Nel 2005 ulteriori linee guida redatte per il MiBACT da Ernst & Young Financial Business Advisor Spa per “la realizzazione dei Piani di Gestione dei siti UNESCO”. Anche l’UNESCO ha contribuito più recentemente al dibattito, attraverso la redazione del Manuale per la gestione dei siti culturali del Patrimonio Mondiale (una analoga pubblicazione è stata redatta per i siti naturali), una risorsa ancora poco nota e utilizzata.
I capisaldi enunciati da queste Linee Guida sono “lo sviluppo sostenibile” nelle sue molteplici accezioni, quindi “non soltanto tutela e conservazione”, ma “produzione di cultura”, “un processo integrato di gestione che supera i confini del sito UNESCO arrivando all’intero territorio di riferimento”, il “piano di gestione come processo di coinvolgimento” dei diversi attori locali.
A un decennio di distanza, i piani di gestione dei siti, e più in generale i processi di governo/governance del patrimonio, costituiscono ancora l’anello debole del “sistema UNESCO”. Sembra pertanto opportuno e utile interrogarsi su una serie di questioni, che riguardano in modo più specifico i siti ampi, di scala territoriale, sia dal punto di vista teorico (la concezione di patrimonio territoriale che guida la costruzione delle conoscenze e le interpretazioni del contesto), che operativo (quali sono gli attori legittimati dal processo di patrimonializzazione; quali gli strumenti messi in campo per il governo delle trasformazioni, quale natura può utilmente assumere oggi il piano ecc.).
Non si tratta di un problema che riguarda soltanto Venezia (l’idealtipo del sito complesso), né soltanto l’Italia, ma di una questione che per il nostro paese assume un valore di posta in gioco rilevante, rispetto alle potenzialità straordinarie del proprio patrimonio territoriale nel quale le dimensioni culturali e paesaggistiche sono estremamente ricche, diffuse, e dense di relazioni che concorrono a definirne la qualità. Un passo importante in questa direzione è stato offerto dalla VII Conferenza nazionale dei siti italiani “Per un osservatorio dei siti UNESCO” (Roma 8-10 novembre 2016), nella quale sono state gettate le basi per un confronto e scambio più sistematico delle modalità, degli strumenti e delle questioni che si pongono nella gestione dei siti.
La gestione dei siti del Patrimonio Mondiale, con particolare riguardo ai siti di dimensioni territoriali estese, si pone da questo punto di vista come una sorta di laboratorio di sperimentazione importante per la gestione del patrimonio territoriale di tutto il paese. Un laboratorio auspicabilmente capace di integrare le azioni di conservazione con le politiche di sviluppo sostenibile (The 2030 Agenda for Sustainable Development) e con quelle di promozione della creatività (Creative Cities Network).
Riuscire a sviluppare modalità di gestione efficaci per questi siti significherebbe non soltanto migliorare la reputazione collettiva dei riconoscimenti UNESCO, ma anche disporre di buone pratiche esemplificative per molti altri territori. Come fare, da dove partire, cosa migliorare? Il convegno ha voluto mettere a confronto una serie di attori significativi, per il ruolo che ricoprono o per il punto di vista approfondito che sono in grado di portare alla discussione, con l’obiettivo di arrivare a configurare una mappa mentale comune dei progressi utili e necessari.
Sono intervenuti – fra gli altri – Ilaria Borletti Buitoni sottosegretario MiBACT con delega ai beni UNESCO, Francesco Bandarin, vice direttore generale UNESCO che ha parlato delle prospettive dell’UNESCO a livello mondiale e il contesto italiano, Maria Grazia Bellisario direttore dell’ufficio UNESCO MiBACT, che ha fatto il punto sullo stato dell’arte delle politiche messe in campo dal MiBACT in tema di protezione e gestione dei siti UNESCO e Angela Barbanente, del Politecnico di Bari, e Anna Marson, per l’Università Iuav Venezia, che hanno spiegato dei piani di gestione dei siti UNESCO osservati da due “planner”.
Sono poi stati analizzati due esempi diversi di gestione di siti complessi a confronto: le Langhe Roero Monferrato e quello delle Dolomiti confronto moderato da Anna Marson e la gestione del patrimonio territoriale. Per concludere ,si è tenuta una tavola rotonda sul tema del miglior utilizzo possibile delle evidenze emerse e garantire una gestione più adeguata.
Fonte: iuav.it