A 45 anni dalla leggendaria registrazione dei Pink Floyd nell’Anfiteatro degli Scavi di Pompei, uscita in tutti i cinema nel 1974, David Gilmour – stavolta senza i compagni dell’epoca – è tornato a esibirsi nelle rovine vesuviane davanti a circa 2.600 persone.
Aprendo i cancelli dell’Anfiteatro il ministro (e fan) Dario Franceschini e il sovrintendente Massimo Osanna si dicono convinti di aver fatto qualcosa di grande; per Pompei, per Gilmour, per quei fan dei Pink Floyd pronti a sborsare i 345 euro de biglietto senza battere ciglio. Difficile comunque contenere i costi di allestimento, circa un milione di euro (solo parzialmente ammortizzati dal concerto di Elton John sullo stesso palco il 12 luglio), con una capienza di soli 2600 spettatori a sera. Impossibile, dati i vincoli ambientali, fare altrimenti.
Un palcoscenico d’eccezione richiede delle accortezze di eccezione: i lavori di allestimento del concerto sono stati seguiti costantemente da uno staff di cinque archeologi con l’ausilio di droni e georadar, mentre per evitare problemi al costante afflusso di visitatori che quotidianamente affollano il sito archeologico UNESCO più frequentato al mondo, l’intera struttura scenica è stata montata nel corso di una notte.
Al netto dell’evento-concerto, utilizzare luoghi tanto suggestivi per queste occasioni è anche un modo “di far cassa”: il Ministero e la Soprintendenza dell’area hanno concordato con gli organizzatori, per il 7 e dell’8 luglio, l’8 per cento degli introiti di, spese per straordinari e dipendenti tutte a carico dell’organizzazione, sfruttamento dei diritti di immagine per dvd, film, documentari monetizzati nel contratto. Per i bene informati finiranno nel bilancio della soprintendenza circa 120.000 euro a serata quindi 240.000 euro per Gilmour più alti 120 mila per il concerto in una serata unica di Elton John, in cartellone il 12 luglio.