di Antonio Capitano –
Il visitatore che percorre le magnifiche Sale della Villa D’Este a Tivoli ha solitamente la suggestione di entrare in un’altra epoca; c’è un sogno dell’appassionato o semplicemente del curioso di abitare in un tempo passato, ripensando a fasti lontani attraverso un viaggio della fantasia capace di abbellire il presente. D’altra parte, la residenza è stata insignita del riconoscimento UNESCO nel 2001 proprio perché “è uno tra gli esempi eccellenti della cultura del Rinascimento al suo apogeo”.
Questa è anche l’impressione che lascia la pregevole Mostra “I voli dell’Ariosto. L’Orlando Furioso e le Arti” allestita proprio all’interno della mirabile residenza.
Il primo desiderio che si avverte è quello di riprendere in mano quei brani scolastici spesso subiti dagli studenti o mal “comunicati” da taluni insegnanti,
La storia della follia di Orlando e quella serie di personaggi del poema ariostesco sono raffigurati nei dipinti a disposizione di occhi interessati. Ma non solo; ecco allora apparire dei cavalli come un fermo immagine all’interno della Villa , scenario fiabesco e pare quasi che da un momento all’altro il poema prenda corpo e il cortigian Ludovico cominci a leggere , al cospetto del Cardinale Ippolito D’Este I di cavalier d’ami d’amor e di donne, anticipando figure quali Isabella D’Este perfettamente inserita nella scenografia della Villa, con la sua celata autorevolezza e soprattutto con la sua visione lungimirante in materia culturale e artistica che meriterebbe maggiore attenzione.
Questa mostra così ben fatta si inserisce perfettamente nel contesto della Villa, divenendo con immediatezza quasi “cinematografica” per il suo effetto surreale. E’ l’insieme delle arti che la rende antica e moderna ad un tempo e tale da attualizzare la figura e l’opera dell’Ariosto con la connotazione di una affascinante consuetudine culturale anche grazie al pregiato catalogo che la consegna alla memoria per un ricordo perenne.
A qualsiasi titolo si sia immesso nella ricerca, il visitatore ne uscirà con una fascinazione intorno alle meravigliose ottave che riempiono gli immortali versi del poema.
Per capirne, ancora oggi, la forza letteraria e poetica, anche Cervantes, ad esempio, tributa al suo più illustre predecessore pagine memorabili. Come ci ricorda Alberto Asor Rosa, infatti, quando il curato e il barbiere penetrano nella biblioteca di Don Quijote e gettano dalla finestra affinché siano bruciati i più di cento libri di cavalleria, alla cui lettura si deve la follia dell’”hidalgo”, il curato risparmia, insieme a pochi altri, il “romanzo” di Ariosto, con parole che non lasciano dubbi sull’alta considerazione che Cervantes nutriva per lui: «Ludovico Ariosto, al quale, se lo trovo che parla in un’altra lingua che la sua, non porterò rispetto alcuno, ma, se parla nel suo idioma, me lo metterò sopra il capo» (come una vera e propria onorificenza). Allora, aggiunge Asor Rosa, l’illimitato amore di Orlando per Angelica, figura femminile centrale ma sfuggente; il suo uscir di senno, quando il paladino scopre che la sua amata si è congiunta carnalmente con un inaspettato antagonista, Medoro, che per giunta è un soldato semplice, “un povero fante”;
la salita di Astolfo alla luna, luogo in cui si raccolgono tutte le cose che si perdone in terra, è voluta da Dio per recuperare a Orlando la ragione perduta, e scoprire che sulla lunaì di senno umano “se ne trova una gran quantità”, mentre di pazzia ovviamente non c’è traccia, perché essa “sta qua giù, e non se ne parte mai” : tutto questo, e le innumerevoli altre storie di amore, disperazione, tragedia e follia, che costituiscono la trama oltre ogni immaginazione multiforme del poema, convergono a costruire la descrizione di un sistema contraddistinto della non unitarietà e non armonicità del cosmo, sia umano sia naturale.
Se l’Orlando furioso, come si è detto, non è un trattato filosofico, ma una prodigiosa «storia cantata», ecco allora il caleidoscopio dell’insieme delle arti che si ritrovano in questa mostra caratterizzata da momenti diversi: la pittura, la musica, la rievocazione scenografica e poi l’accesso diretto con il teatro in tutte le sue forme, fino all’Opera dei Pupi orgoglio nazionale e capace di “parlare” un linguaggio immediato utile a sintetizzare personaggi e contenuti. Ed è possibile “sconfinare” nella scienza poichè perfino Galileo Galilei, nelle Postille all’Ariosto ne esalta il mirabile talento inventivo e fantastico mentre Italo Calvino, fine raccoglitore dell’essenza della parola , traccia una linea precisa, quasi una strada: «Possiamo segnare una linea Ariosto-Galileo-Leopardi come una delle più importanti linee di forza della nostra letteratura ».
Il “raccolto” culturale che il visitatore riporta a casa – come un viandante alla ricerca della bellezza che tra le pagine immortali dimentica, forse, la bruttezza consueta del quotidiano – è la sensazione di essere stato in un castello di destini incrociati con l’Ariosto che, come per incanto, legge il poema, con il suo essere poeta-pittore e dunque dipingendo la scena . Tutto questo nello splendore di una Villa capace di suscitare suggestioni con un necessario sguardo alle volte, alle terrazze, alle fontane e alla magia di un giardino in completa armonia con questo microcosmo che la mostra sublima e rianima come una perfetta azione teatrale.